Dante a Montorio

A scuola si racconta il medioevo.

Introduzione

Con questo testo la classe 2^B della Scuola Secondaria di Primo Grado “Luigi Simeoni” di Montorio ha partecipato alla sesta edizione del Concorso nazionale di scrittura creativa “Raccontare il Medioevo”.
Il Concorso, riservato agli alunni della Scuole Secondarie di Primo Grado, è stato promosso e organizzato da ISIME (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo) e MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca); ha visto la partecipazione di oltre cento scuole di tutta Italia con la realizzazione di più di duecento racconti storici.

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Testo

In una calda giornata dell’estate del 1315 due uomini a cavallo stavano galoppando lungo un sentiero polveroso che si perdeva in mezzo alle colline. Erano partiti presto quella mattina, dopo la consueta preghiera nella piccola chiesa di Santa Maria Antica, vicino ai palazzi degli Scaligeri.

I due cavalieri parlavano amichevolmente tra loro: “Caro Dante, in una giornata così calda, spero che ti sia gradita la meta del nostro cavalcare: andiamo a Montorio, la Mons Aureus degli antichi; là tra il verde degli alberi frondosi, vedrai laghetti e ruscelli alimentati dalle fresche sorgenti d’acqua. Un vero paradiso! Pensa che l’acqua che beviamo a Verona proviene da lì, grazie all’acquedotto romano che funziona tuttora; quell’acqua è veramente buona e so che ti piace tanto… a differenza del pane che trovi sempre eccessivamente salato!” commentò con un sorrisetto ironico.
“Hai ragione, mio caro Francesco, il pane sa troppo di sale, ma riconosco che è perché mi manca tanto la mia adorata Firenze: maledetti quei guelfi Neri e il papa che mi hanno esiliato!”

Poco prima, alla porta orientale, detta del Vescovo11, i due si erano fermati e con orgoglio Can Francesco aveva mostrato al suo illustre ospite le mura difensive erette da suo padre Alberto e aveva spiegato come lui, il nuovo signore di Verona, avesse intenzione di prolungarle anche nella parte collinare, a nord della città.
“Eri già un promettente bambino quando ti ho conosciuto nel mio primo soggiorno a Verona, sotto il governo di tuo fratello Bartolomeo; ora vedo in te un uomo saggio, con grandi ambizioni e progetti, un signore ghibellino davvero grande…Cangrande!” commentò Dante, sentendo salire l’emozione nella sua voce.

Mentre i due galoppavano, seguendo in parte il tracciato dell’acquedotto romano, all’improvviso apparve in lontananza, sulla sommità di una collina, un magnifico castello; Cangrande si accorse che Dante stava osservando con interesse l’imponenza della costruzione. “Quello è uno dei miei castelli, il castello di Montorio, appunto; pensa, mio caro amico, che già nel 1117 un terremoto l’aveva danneggiato e due anni fa quei perfidi padovani guelfi me l’hanno distrutto. Ma a me piace tanto questo luogo e ho voluto che fosse ricostruito velocemente e più bello di prima; è davvero piacevole starci, soprattutto quando a Verona fa molto caldo. Senza dimenticare che di questi tempi il castello è un presidio militare di grande importanza!”.
Ripresero il viaggio a un trotto più sereno; Cangrande era chiaramente rilassato e felice di tornare in quel regno di pace e di tranquillità, dopo tante battaglie nell’Alta Italia vinte con astuzia e coraggio. Seguendo stradine strette e intricate che salivano attraverso il bosco, i due cavalieri arrivarono ai grandi portoni di legno del castello.
Le sentinelle, che stavano pattugliando le mura, diedero un grido e i portoni si aprirono, lenti e scricchiolanti. Sopra l’ingresso, c’era un’epigrafe che diceva:

Sia questa casa luogo di pace a chi viene per goderla, e, se voi siete tali disponetevi a mangiare il pane, che vi offre nell’ore debite il fondatore di essa”.

Entrando si poteva vedere la piccola chiesa dedicata a Santa Maria; dei servitori correvano di qua e di là, alcune guardie camminavano sulle passerelle e altre stavano nel cortile.
Dall’interno si potevano vedere sette torri che si innalzavano maestose verso il cielo. Dante fu colpito dall’attività frenetica che si svolgeva nel cortile: il castello aveva ripreso vita!
Alcuni bambini giocavano a chi correva più veloce, imitando la gara del Drappo Verde: il poeta si intenerì a quella vista e ricordò i momenti di gioia e di festa che animavano la gara veronese di cui lui era stato spettatore.
Più in là, all’ombra di un tiglio, un gruppo di giovani e di fanciulle sedevano in cerchio, raccontandosi novelle, accompagnati dalla musica di uno strumento a corde: ridevano e scherzavano, si stuzzicavano lanciandosi l’erba e si rincorrevano felici e spensierati, al di là dei dolci pendii del prato. A Dante sembrò di tornare giovane e subito gli venne in mente la sua Beatrice.

“Forza, Dante, non rimanere così incantato; ora ci ristoriamo un po’ e poi ho una sorpresa per te!” lo scosse Cangrande, facendolo tornare al presente.
“Ah, l’amore…” sospirò il poeta. “A proposito, Francesco, come hai conosciuto tua moglie, la tua amata Giovanna?”.
“Lei, figlia di Corrado di Antiochia e pronipote dell’imperatore Federico II, si era fermata a Verona, in una tappa del suo viaggio verso la Germania dove l’attendeva il matrimonio con un feudatario bavarese. Me ne innamorai a prima vista e la convinsi a sposarmi, dicendole questa frase: “Verona non può privarsi di una simile gemma”.
Lei rimase con me! Che dici, Dante, sono poeta pure io?”.
Cangrande riuscì a strappare un sorriso al suo compagno, cosa non facile visto il suo carattere serio e il suo viso sempre accigliato.
“E la sorpresa?” si ricordò Dante, dopo essersi rifocillato.
“Devi sapere, messer Alighieri, che qui vicino, sul crinale della collina che divide le due valli, si trova una pietra calcarea conficcata nel terreno, un monolito di epoca precedente a quella dei Romani; la chiamano Pilotòn, e ha dei riferimenti astronomici, quasi magici…”.
“Non perdiamo tempo, andiamo!” aggiunse il poeta fiorentino, pieno di curiosità.
Non ci volle molto e, seguendo la direzione per Novaglie, i due compagni giunsero al Pilotòn e si fermarono per contemplarlo da vicino. “Strane cose si dicono su questa pietra: pare sia stata eretta per propiziare la fertilità della terra e forse serviva da calendario. Sembra addirittura che la fondazione stessa di Verona abbia a che fare con questa pietra: infatti il giorno del solstizio d’estate, il 21 giugno, l’ombra del Pilotòn è parallela al Decumano massimo di Verona, sai quella parte dell’antica Via Postumia che nel tratto cittadino va dalla Piazza del Mercato, l’antico foro romano, alla chiesa di Santa Anastasia, quella dei Domenicani”.
“Sì, sì, ho capito… interessante” commentò Dante, alzandosi sulle punte dei piedi per scrutare l’orizzonte nel tentativo di avvistare la città. Rimirarono il panorama fantastico che si estendeva fino alle montagne, a nord; ma il caldo era così intenso, tra il frinire delle cicale, che il poeta cercò riparo all’ombra. “Se ti fa piacere, scendiamo a Montorio: lì ti mostrerò un’antica pieve con vicino un magnifico laghetto; un posto incantevole, vedrai!” propose Cangrande. Rimontati a cavallo, si diressero verso il villaggio e continuarono il loro dialogo.
“Una pieve, una chiesa di campagna… situazione ben diversa da quel che si dice del comportamento di alcuni ecclesiastici” pensò ad alta voce Dante; e rivolto al suo compagno di viaggio: “Che mi dici di Giuseppe, l’abate di San Zeno? Era tuo fratello, mi sembra”.
“Per la verità era mio fratellastro, figlio naturale di mio padre Alberto, senza alcun diritto dinastico; è morto due anni fa”.
“Permettimi di insistere – si scusò Dante con un atteggiamento dimesso, ma poco propenso a cambiare discorso – è vero che era storpio di corpo e ancor più di mente, come dicono?”.
“Purtroppo era così; lui era del tutto incapace di presiedere un’abbazia, ma mio padre lo mise a capo della chiesa di San Zeno per avere maggior controllo e influenza sul clero. Lo so che non condividi, ma governare a volte fa fare delle scelte difficili, talvolta obbligate”. Dante non era d’accordo: tanto era infastidito dal fatto che il papa si intromettesse nel governo politico della sua Firenze, quanto non tollerava che il potere temporale rivendicasse dei diritti su quello spirituale. “Ma eccoci, siamo giunti alla Pieve di Santa Maria Assunta” disse Cangrande.

“E’ stata costruita sopra un tempio pagano dedicato alle Ninfe, a protezione della sorgente che vi è qui; è stata poi consacrata dal vescovo Bernardo due secoli fa; e questo laghetto dal colore verde smeraldo – Cangrande indicò a lato – è chiamato Squarà, dal latino Squadratum per la sua forma quadrata: un piccolo bacino d’acqua creato dai Romani per alimentare l’acquedotto che portava l’acqua in città, già a quei tempi.
Grande popolo, quello dei Romani: hanno conquistato fino ai confini del mondo e sono loro ad aver costruito quello splendido anfiteatro che è l’Arena di Verona”.
Dante non poté che annuire: “Anch’io ho molta ammirazione per questo popolo, che ha realizzato grandi opere sia materiali che artistiche e letterarie. Amo in particolare Virgilio, per me il più grande poeta dell’antichità”.
“E per loro l’acqua è sempre stata una preziosa risorsa, come anche adesso. Sai, Dante, tutta quest’acqua che vedi a Montorio, serve anche per far funzionare i mulini e le gualchiere per la lavorazione della lana. Le prime fasi vengono fatte qui; poi in città, alle Sgarzerìe, le pezze vengono misurate e timbrate. La nobile Arte della lana, caro Dante… e i nostri berretti sono famosi in tutta Europa!” concluse con orgoglio il signore scaligero.
Si era fatta sera; dame, cavalieri e uomini del popolo si stavano radunando nella vicina Loza, circondata da frutteti e da salici che piegavano i loro rami verso il terreno. Cangrande aveva fatto organizzare una festa per il suo illustre ospite: quando entrarono nel cortile su cui si affacciavano le logge, una miriade di persone con abiti dai colori sgargianti li accolse con un caloroso applauso. Sul vestito di molti di loro era ben evidente il simbolo della scala.
“Lo amano davvero, il loro signore; quello che ho sempre sentito su di lui e la sua magnificenza, ora lo posso verificare. Sospettavo l’esagerazione delle parole, ma in realtà tutto corrisponde ai fatti. Perfino i suoi nemici dovranno riconoscere la sua grandezza; l’amicizia che ci lega è un tesoro preziosissimo” pensò Dante, mentre iniziavano le musiche, le danze e gli spettacoli di saltimbanchi.

Tra il suono festoso di liuti, flauti e cembali, gli ospiti si affrettarono a prendere posto davanti alle tavole imbandite di pietanze: c’erano magnaroni e trote, pescate nei ruscelli freschi e limpidi della zona, e tanta carne di selvaggina e arrosti. A grande quantità si offriva il vino rosso Acinatico, una prelibatezza per i veronesi, ottenuto dalle recie dei grappoli, cioè dalle loro parti superiori, quelle più esposte al sole. E poi uova, verdure, formaggi, frutta, focacce e torte.

Dante era ammirato da tanta generosità e ricchezza. “Dimmi, Francesco, chi ha costruito questo magnifico palazzo?”.
“Un tempo l’abbazia di San Zeno aveva costruito una torre a controllo delle acque e poi gli Scaligeri ottennero i diritti di gestire e controllare questa importante risorsa. Fu mio padre Alberto a far scavare un canale di collegamento tra lo Squarà e il Tondo, quel piccolo bacino che vedi laggiù nel giardino; lo realizzò sia per far arrivare l’acqua alla Loza, sia, sfruttando i diversi livelli dei due bacini, per alimentare zampilli, fontane e giochi d’acqua. Ci teneva che la sua corte fosse sfarzosa e raffinata. E abbiamo intenzione di ingrandire e abbellire ancora di più questo complesso: diventerà bellissimo”.
“Un vero luogo di delizie” – concluse Dante. “Suggerirò a mio figlio Pietro di acquistare un podere qui a Montorio, così anche lui potrà vedere queste meraviglie e godere della tua amicizia”.

Di fronte a Dante era seduto il medico di corte, Aventino Fracastoro, che non smetteva mai di raccomandare al suo giovane signore di bere lentamente l’acqua fredda; sapeva quanto Cangrande fosse robusto e forte, ma ci teneva al suo benessere e voleva evitare che avesse una congestione.
Vicino all’illustre medico c’era Guglielmo Castelbarco, il signore della Val Lagarina, alleato degli Scaligeri. “Già ci conosciamo, messer Alighieri: anni fa mi fece l’onore di essere mio ospite nel castel Lizzana. Vi trovate bene qui nella città scaligera?
Immagino che abbiate già avuto occasione di visitare Verona. Il mio amico Cangrande – disse Guglielmo, battendo una mano sulla spalla del signore – ne va molto fiero e da quando è Vicario imperiale la città è tutto un cantiere e lui fa progetti grandiosi: chissà cosa ci riserverà il futuro”.
“Cangrande è un condottiero giovane ma capace, ama la cultura e poi sorride sempre, dall’alto del suo metro e ottanta; è molto generoso e mi concede molto tempo per lo studio e la lettura. Vorrei in qualche modo ricambiare la sua ospitalità e protezione: a lui intendo dedicare il Paradiso, la cantica più sublime della mia Commedia, e per lodarlo come merita ho deciso di riservare per lui un posto speciale nel canto centrale, il diciassettesimo. Sono un poeta e posso omaggiarlo solo con la mia arte”.

“Stiamo parlando di poesia!” – intervenne da dietro un personaggio stravagante. Era Manoello Giudeo, un poeta giramondo che aveva appena finito di declamare versi in onore di Cangrande. “E costui che vedo è messer Dante Alighieri” disse, inchinandosi. “O sommo poeta, non sapete che privilegio per me incontrarvi di persona. Che ne pensate dei miei versi? Avete sentito come ho omaggiato il nostro Cangrande? E questo è ‘l Signore con tanto valore, che ‘l suo grande onore va per terra e mare“.

Dante non riuscì ad ammettere che non c’era talento in quei versi, ma dalla sua espressione Manoello capì che la gara a sonetti che voleva proporgli non era una grande idea. Così gli disse: “Messer Dante, vorrei proporvi un indovinello, un antico indovinello veronese, scritto in una lingua che non è più latino, ma non è ancora quella che parliamo oggi. Lo saprete risolvere?”.
“Sentiamo…” rispose incuriosito il fiorentino.
“Se pareba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba”.
Dante ci pensò a lungo e alla fine disse: “I buoi sono le dita dello scrivano… i bianchi prati sono i fogli… il bianco aratro la penna…e il seme nero è l’inchiostro: una metafora per indicare l’atto dello scrivere”.
“Stupefacente!” disse Manoello, ammirato.

Dante si alzò da tavola: alla fine di quella lunga giornata aveva voglia di restare solo.
Il paesaggio notturno era rilassante, con il rumore dell’acqua che scorreva, accompagnato dal canto dei grilli. Nel giardino c’erano le bellissime fontane con giochi d’acqua e sopra di lui, in cielo, le stelle.

Ricerca a cura della classe 2^B della Scuola Secondaria di Primo Grado “Luigi Simeoni” di Montorio e dell’insegnante prof.ssa Antonella Fiori


Fonti
  • AA. VV., “Il tempo e la storia. I segni della Verona scaligera”, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, Verona, 1988
  • AA. VV., “L’ambiente veronese. Verona e gli Scaligeri”, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, Verona, 1981
  • Luigi Alloro, Marco Pasa, “Il castello di Montorio”, Comitato Fossi Montorio – Ecomuseo Prea Fita, 2003
  • Gianfranco Benini, “Le chiese di Verona”, Verona, 1988
  • Pierpaolo Brugnoli, “Le strade di Verona”, Biblioteca de L’Arena, Newton & Compton Editori, 1999
  • Comitato Fossi di Montorio (a cura di), “Le acque di Montorio…un patrimonio da conoscere”, Verona, 2004
  • Nicola Cinquetti, “I bambini alla scoperta di Verona”, Lapis e Palumbo Roma, 2003
  • Marco Pasa (a cura di), “Acqua terra e uomini tra Lessinia e Adige”, Grafiche AZ, 1999
  • Mario Patuzzo, “Valpantena Valsquaranto. Storia e fascino della Lessinia”, Editrice La Grafica, 2006
  • Mario Patuzzo, “Verona Romana Medievale Scaligera”, Editrice La Grafica, 2008
  • Dino Provenzal (a cura di), “La Divina Commedia” di Dante Alighieri, Mondadori, 1980
  • Giuseppe Sandrini, “Escursioni. Montorio e Valsquaranto tra sorgenti e colline”, Cierre Edizioni, 1999
  • Margherita Sboarina, “Appunti di viaggio alla scoperta di Verona medievale”, Editrice La Grafica, 2009
  • www.lamescaligere.eu
  • www.montorioveronese.org
  • www.scaligeri.com
  • www.wikipedia.org
  • Convegno “Dante a Verona” (8-10 ottobre 2015)
  • Sig. Roberto Maggia (uscita didattica del 20 novembre 2015)
  • Video “Cangrande – Il principe di Verona”. Testo e regia di Anna Lerario

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