Federico Della Scala

Rievocare un comandante scaligero.
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La parete di Santa Maria Antica a Verona

Se in una oziosa giornata di sole, vi piacesse di camminare nella bella Verona e, giunti al recinto delle Arche Scaligere, spingere lo sguardo oltre la maglia di ferro che le protegge, e oltre il monumentale sepolcro di Mastino, potrebbe accadervi, come in effetti è successo a chi vi scrive, di scorgere, murato sulla parete esterna della chiesetta di Santa Maria Antica, un piccolo scudo di pietra diviso in dodici scacchi, sei dei quali recano impresso il simbolo a quattro pioli dei primi signori di Verona. Forse v’interesserà sapere che a i giorni nostri, questo curioso stemma, è visibile solo in un altro luogo della nostra città: esso é sbalzato sul profilo panciuto d’una grande campana bronzea conservata al museo di Castelvecchio. La campana fu fatta fondere, nei primi decenni del XIV secolo, per la torre del castello di Marano, dal Conte della Valpolicella Federico della Scala che la firmò con la sua araldica. La storia di questo Conte potrebbe essere benissimo riassunta dal rosone di San Zeno, ove è scolpito un uomo che, sollevato dalla Fortuna al punto più alto della Ruota poi, dalla stessa Fortuna, viene ricacciato in basso.

13173182_641379276012751_8322700323942903888_oNato a Verona tra il 1286 e il 1288, dalla nobile Margherita Pallavicino e da Alberto detto il Piccardo, nipote del più celebre Alberto della Scala, da poco signore della Città per volere popolare, Federico della Scala fu poi affidato, per la prematura morte del padre, proprio alla tutela del Principe Veronese , che nel 1294 lo nomina cavaliere insieme ai figli Alboino, Bartolomeo, e Cangrande. Emergendo già in giovine età la sua predisposizione per la gestione della politica e l’attività diplomatica è da subito al fianco dei giovani principi Alboino e Cangrande diventandone uno dei primi ambasciatori e un insostituibile collaboratore. Federico della Scala fu podestà di Vicenza prima e di Verona poi, e nel 1313 salvò la città natale da un’ assalto a sorpresa delle truppe padovane che pensavano di approfittare dell’assenza di Cangrande, impegnato a est come comandante dell’esercito ghibellino. Le doti militari e il valore di Federico furono riconosciute anche dall’imperatore Enrico VII che lo definì “miles probus” e lo scelse fra i comandanti delle sue spedizioni in Toscana. Nel 1317 sposò Imperatrice, la bellissima figlia di Corrado D’Antiochia, da cui ebbe sei figli e resse per un breve periodo anche le podesterie di Modena e Bergamo.

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La campana a Castelvecchio

Il rovescio della Fortuna doveva però giungere il 14 settembre del 1325, quando con Cangrande malato, e da molti dato in fin di vita, Federico della Scala tentò, forse, un colpo di stato per togliere il governo di Verona ai nipoti del Principe, ed eredi designati, Mastino II e Alberto II. LA congiura fu scoperta e Cangrande, ripresosi condannò Federico all’esilio perpetuo da Verona, confiscando tutti i suoi beni e passando a fil di spada servitori e complici. A Federico non rimase che riparare presso l’Imperatore Ludovico di Baviera e poi a Trento, dove morì nel 1349 dopo aver tentato per tutta la vita di riprendere i suoi beni e ritornare a Verona. Nel testamento chiede d’essere seppellito all’ interno delle Arche Scaligere, ma gli storici dubitano che tale volontà sia mai stata esaudita. Lo scudo murato sulla parete di Santa Maria Antica forse segnala la sepoltura di suo padre, ma a me piace pensare che, in qualche modo, anche Federico sia tornato a riposare tra la gloria dei Della Scala.

Se m’avete seguito fino a qui, senza annoiarvi, sappiate che vi ho raccontato tutto ciò per condividere con voi una piccola soddisfazione personale. Ciò che ho scritto è frutto di mesi di ricerca, frutto a loro volta d’una subitanea simpatia (nel senso greco del termine) per la sorte di Federico della Scala, che mi hanno condotto lo scorso fine settimana a vestirne indegnamente i panni. A Crevalcore (BO), In occasione dell’evento rievocativo ”4 passi nel Medioevo” infatti, grazie allo splendido lavoro dell’instancabile Monica Rossi della Sartoria Monro (a cui vanno i miei più sinceri ringraziamenti) ho potuto indossare una perfetta riproduzione della surcotta d’arme di Federico della Scala ed arricchire d’un nuovo obbiettivo raggiunto il mio percorso rievocativo, che come quello dei miei compagni d’associazione e di molti altri amici rievocatori, parte dallo studio appassionato delle fonti e si trasforma in stoffa, acciaio, pelle, legno, inchiostro e pergamena, in voci, luci e odori, e infine in storia viva.

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