Abiti Medievali

Nel corso della storia, la religione ha sempre ricoperto un ruolo di grande importanza negli usi e nei costumi della società. Nel corso del Medioevo la quotidianità e le abitudini della società vennero fortemente influenzate.

Le istituzioni sacre infatti condannavano la carne e la sua esibizione ed incoraggiavano ad un abbigliamento modesto e moderato o morigerato, scoraggiando prevalentemente gli eccessi femminili. Inoltre una grande depressione economica portò a tralasciare per qualche tempo la moda e le sue innovazioni.

Per queste ragioni, nell’alto medioevo (nota dell’editor), le vesti e gli accessori rimasero quelli dell’epoca tardo romana (al sud) o d’influenza barbarica (a nord) e non furono applicate particolari differenze tra abbigliamento maschile e femminile. Caratteristica di questo modo di vestire era la semplicità delle forme e dei tagli, la comodità dei materiali e dei modelli, la sobrietà delle decorazioni: uomini e donne indossavano entrambi tuniche e mantelli lunghi fino a terra, con maniche lunghe e larghe fino a coprire le mani. Vi erano solo alcune piccole differenze tra gli abiti maschili e femminili (pur mantenendo lo stesso modello):

  • le camicie delle donne erano prive di bottoni e tasche; sopra di essa indossavano la tunica, un abito lungo di tradizione bizantina con maniche molto larghe; spesso praticavano dei lunghi spacchi sulla tunica per lasciare intravedere la camicia sottostante di colore diverso;
  • la tunica degli uomini poteva avere diverse lunghezze ma per i poveri non doveva superare il ginocchio; priva di bottoni prevedeva una scollatura a punta sul davanti; sopra la tunica vi infilavano la guarnacca, una sopraveste senza maniche o con maniche lunghe con uno spacco sotto l’ascella o gomito, con cinture di vario tipo in metallo o corda, un capo della quale pendeva fino all’orlo; l’unica prerogativa in più che l’uomo aveva era l’utilizzo dei pantaloni (brache).

Questa scelta di utilizzare gli stessi modelli sia per uomo che per donna fu dettata da un grande rispetto per i tabù sessuali, nonché per occorrenze pratiche, come il ripararsi dal freddo. Anche i bambini non differivano molto l’uno dell’altro, né dagli adulti: essi spesso indossavano vestiti in tutto simili a quelli dei loro parenti, solo più piccoli.

Le vesti dell’epoca erano costituite dalla camicia, indumento indossato direttamente su pelle; le mutande, chiamate anche “femoralia” dai Longobardi; sopra a questo abbigliamento intimo venivano poste una o due tuniche, una con maniche aderenti e una con maniche larghe;quest’ultima poteva essere sostituita da un mantello.

Vi erano sostanziali differenze tra l’abbigliamento nobile e quello popolano: i nobili erano “vestiti dall’autorità divina” e quindi indossavano stoffe pregiate ed accessori di ogni genere (mantelli, veli, guanti e copricapi a punta); il popolo spesso non indossava mantello né calzature complesse ma semplicemente delle suole cucite sotto le calzebrache.

In questi anni venne inoltre introdotto l’utilizzo della pelliccia, per contrastare il freddo nelle case in cui il camino e le finestre a vetri non esistevano ancora.

La formazione dei Comuni e la diffusione di attività commerciali in mano alla borghesia cittadina, portarono una buona parte della popolazione ad occuparsi della lavorazione dei tessuti importati e della decorazione degli stessi (ispirate a motivi orientali).

Si assistette poi ad un restringimento delle vesti, pur mantenendo una certa omogeneità tra abiti maschili e femminili: l’invenzione dei bottoni (moda francese che si diffuse lentamente in tutta Europa dopo il XIII secolo) servì a far aderire le maniche al corpo.

Mentre, fino ad allora, la trasgressione in tutti i settori della società non veniva tollerata, anzi era un pretesto per diffidare di chi la praticava, dagli inizi del 1300 iniziò a prendere piede l’ideologia per cui la provenienza sociale doveva essere visibile ad un primo sguardo, attraverso stoffe, accessori e ricche decorazioni. Si diffuse quindi una differenziazione delle vesti tra ceti sociali: l’abito di ognuno doveva essere pratico e rappresentativo!

Nella seconda metà del 1300, si ebbe una prima distinzione tra moda femminile e maschile specialmente nei ceti nobiliari:

  • le donne indossavano abiti stretti che rialzavano il petto contenuto, nonché veli e copricapi in grado di celare i capelli; le loro tuniche erano confezionate in zendàli seta simile al taffetà), broccati (velluti impreziositi da fili d’argento e oro), e applicazioni di perle e pietre preziose. Accessori fondamentali erano i copricapi, come la diffusissima corona turrita, una fascia circolare su cui si appoggiavano merli con applicazioni di pietre e perle. I loro capelli erano sempre acconciati, anche se non eccessivamente: un’acconciatura comune era realizzata con bende o nastri, detti anche intrezatorium, che venivano intrecciati nei capelli. Un copricapo famoso fu l’hennin a forma di cono rigido, in velluto o in seta, al cui vertice veniva applicato un velo o un pizzo; le fate delle fiabe di origine medievale vengono infatti tutt’oggi raffigurate così;
  • gli uomini di contro, ricominciarono a tagliarsi i capelli ed a radersi la barba. In questi anni vennero inoltre inventati gli occhiali.Accanto ai tessuti pregiati nacque la passione per le pelli e le pellicce. Ciò mantenne di elevata importanza il commercio del cuoio. Inizialmente la richiesta di pellicce veniva soddisfatta dall’utilizzo delle pelli degli animali macellati per uso alimentare, ma la richiesta sempre maggiore fece crescere l’industria dei pellami pregiati (bufalo, cavallo, camoscio, cammello, coniglio, cervo e lupo).

Gli abiti adoperati per l’inverno, come cappe e mantelli, erano spesso imbottiti o predisposti ad esserlo. Le cappe femminili, ampie e avvolgenti, avevano la superficie tra le spalle e la cintura rivestita con pance di vaio, noto anche come scoiattolo siberiano, animaletto dalla pelliccia pregiata. L’uso di pellicce di vaio e di candido ermellino, distingueva l’àlite delle corti, mentre le pelli di agnello e montone erano diffuse tra nobiltà minore e cavalieri. I cappelli erano portati dall’uomo di media lunghezza, con la frangia a metà della fronte e fermati da cerchi, venivano raccolti in piccole cuffie (infulae).

Le calzature erano confezionate in cuoio e in genere con pelle d’agnello, vacca e altri animali ad uso alimentare. I poveri adoperavano zoccoli in legno o generalmente pianelle; le raffinate scarpe a punta in tessuto colorato e suolate all’interno erano esclusiva delle classi sociali elevate.

Accessori importanti nella moda maschile erano le borse realizzate in cuoio, in forma rettangolare (scarselle), trapezoidale (elemosiniera), a forma di bisaccia, tipologia particolarmente usata dai pellegrini in viaggio, o sotto forma di eleganti valigie per la clientela raffinata. Le scarselle venivano legate alle cinture, confezionate in cuoio con applicazioni metalliche. Tuttavia mai borse o bisacce venivano portate direttamente in cintura: le prime erano messe a tracolla mentre le seconde erano spesso nascoste alla vista.

Gli elementi distintivi della classe nobiliare erano concentrati in particolar modo sull’oggettistica, gioielli pregiati con forme e colori elaborati, nonché sui tessuti decorati, damascati e lavorati con molta cura. Questi ultimi venivano raccolti e raffinati dalle donne del popolo, mentre le dame si dedicavano alla tessitura ed al ricamo nel tempo libero.

Le stoffe più diffuse in quell’epoca erano il lino, la canapa e il fustagno (misto di lino e cotone): mentre il primo veniva impiegato in lenzuola e camice, la seconda era utilizzata per gli abiti da lavoro e le fodere (grazie alla sia grande resistenza); infine, il fustagno era molto apprezzato sia per gli abiti che per il complemento d’arredo. Non mancavano comunque vesti di cotone e lana.

Questo quasi eccessivo sfarzo da parte del ceto nobiliare rese famose in tutta Europa le corti palermitana e messinese per i loro tessuti ricamati con le pietre preziose che venivano applicate sulle tuniche e sui mantelli. Le tecniche di lavorazione erano segrete, condizione essenziale affinché i manufatti fossero considerati “esclusivi”; gli stessi tessitori, considerati alla pari degli artisti, erano chiamati a preservare il “mistero” delle raffinate ed antiche tecniche. Grazie al loro prestigio arrivarono a colmare il guardaroba reale di tuniche in seta, mantelli ricamati in oro, perle, filigrane e smalti.

I nobili spesso indossavano pellicce siberiane, armene, tedesche e norvegesi: le pelli degli animali italiani, considerate meno pregiate, venivano tinte ed usate per gli interni o per i dettagli decorativi di soprabiti e tuniche. I colori erano un elemento molto importante e curato nell’abbigliamento: più un tessuto era luminoso e decorato, più era ritenuto lussuoso e prestigioso; per questa ragione spesso venivano preferiti i colori caldi e vivaci, lasciando le tinte scure al popolo; infatti alcuni colori come il verde erano adoperati esclusivamente degli esponenti dei ceti alti, cortigiani e signori.

Chi poteva, invece, indossava abiti dai colori decisi: il più prezioso era lo scarlatto, il morello era un colore paonazzo scuro, il lionato (giallo fulvo) era molto ricercato e l’alessandrino (azzurro screziato) andava per la maggiore.

Anche i tessuti indossati in realtà rivelavano l’origine sociale di chi li indossava: il panno balveto era adoperato dagli operai, il bianchetto dai frati, il perso (di color nero tendente al rosso) dai cavalieri e il vergato (tessuto rigato) era destinato ai servi, ai messaggeri e ai garzoni.

Nel Quattrocento prevale il tessuto lavorato (velluto e seta in prevalenza) con decorazioni floreali, che all’astrattezza delle figurazioni orientali univano la tendenza naturalistica dell’arte occidentale. Il motivo più ricorrente era quello del frutto del melograno, unito al cardo e al fiore di loto.

Oltre che nelle vesti, i nobili osavano anche nelle calzature, ricche di orpelli con forme strane e stravaganti. Le scarpe per gli uomini potevano essere a punta o a forma quadrata nell’estremità, diffusi erano gli stivaletti in pelle alti al polpaccio. Le donne preferivano scarpe basse chiuse alla caviglia o allacciate con un passante; dalla Francia si diffonde l’uso della pantofola.

Lo sfrenato sfarzo e la sua esibizione senza limiti, nonché la continua ricerca di elementi per stupire e distinguersi dagli altri, portò lo statuto suntuario di Bologna ad imporre, nel 1401, precise regole al lusso dell’abbigliamento.

L’abito non era indispensabile solo per evidenziare la categoria sociale di appartenenza, a volte diventava necessario per emarginare o etichettare determinate categorie”umane” considerate pericolose: le meretrici, i lebbrosi e gli appartenenti a minoranze etnico-religiose come gli ebrei e i saraceni erano obbligati ad indossare i segni distintivi dell’infamia.

Per quanto riguarda le meretrici, disprezzate a causa del lavoro condotto, per ovvi motivi, ma ben tollerate all’interno della società, l’Imperatore Federico II imponeva, nel suo Regno, la netta separazione fra le donne oneste e quelle pubbliche obbligando queste ultime ad indossare una veste corta sfrangiata nel basso affinché fossero immediatamente riconoscibili e non fossero confuse con le altre donne. In Francia invece le prostitute erano costrette ad indossare, sull’abito o fra i capelli, un nastrino rosso (anguilette), questo segno distintivo aveva una duplice funzione: distinguere la donna dalle altre “oneste” e garantire ai clienti una fornicazione qualificata.

Alla pari di tutti gli altri marginali anche il lebbroso era costretto ad indossare i segni della diversità: il suo passaggio era annunciato da lontano dal suono di sonagli o dal rumore provocato dalle maniglie mobili di ferro della battola; era inoltre obbligato ad indossare un cappuccio e un colletto di stoffa bianca, affinché la sua diversità fosse immediatamente visibile.

Nel 1221 l’Imperatore emanò le Assise di Messina in cui presentava l’editto generale riservato ai giudei affinché portassero abiti particolari per distinguerli dai cristiani, i tratti distintivi erano il colore celeste per gli abiti e l’obbligo di portare la barba solo per gli ebrei adulti. Questa legge non era certo una novità, infatti già; nel 1215 il IV Concilio Lateranense aveva emanato delle norme per isolare le comunità ebraiche da quelle cristiane, obbligando Ebrei e Saraceni ad indossare abiti particolari: “…costoro di ambedue i sessi, in ogni provincia cristiana e in ogni momento siano segnalati agli occhi del pubblico come ebrei e saraceni per mezzo del tipo del loro abito”.

Ricerca a cura di Giacomo Slemer


Fonti
  • http://www.historiabari.eu/
  • http://armadiodelmedievalista.blogspot.com
  • Laver, James: The Concise History of Costume and Fashion, Abrams, 1979
  • Netherton, Robin, and Gale R. Owen-Crocker, editors, Medieval Clothing and Textiles, Volume 1, Woodbridge, Suffolk, UK, and Rochester, NY, the Boydell Press, 2005, ISBN 1-84383-123-6
  • Black, J. Anderson, and Madge Garland: A History of Fashion, 1975, ISBN 0-688-02893-4
  • Boucher, François: 20,000 Years of Fashion, Harry Abrams, 1966.

I commenti sono chiusi.