La taverna nel Medioevo

La taverna nel Medioevo

La Taverna nel Medioevo è un luogo di ritrovo per bere, mangiare, incontrarsi, giocare.
La documentazione principale sulla presenza della Taverna nella vita sociale del Tardo Medioevo ci è fornita dagli Statuti delle città.
Le Taverne erano ubicate sia nei centri urbani che nei piccoli borghi nelle campagne, ma soprattutto nei luoghi di mercato, lungo i fiumi in prossimità di ponti e traghetti e le strade, nei porti; tutti posti nei quali vi era molta gente di passaggio o stanziale.
Erano sorvegliate dalle autorità.

La Taverna medievale era caratterizzata da un’insegna e da dei lunghi sporgenti pali per la birra che però spesso recavano fastidio alla circolazione, e a Londra nel 1375 vi fu un provvedimento che ne limitava a 7 piedi la misura massima di sporgenza dalla facciata.
Lo statuto della città di Verona del 1327 ci trasmette la possibile esistenza di un cortivum o di un porticus: ne è facile dedurre che durante la buona stagione i vini, la birra e l’idromele venivano consumati all’esterno in quello che è altrove definito “circuito della taverna”.

I vini giungevano da numerosi paesi e regioni. Delle Taverne che si trovavano in prossimità di posti di mare il taverniere si recava a rifornirsi delle botti di vino sbarcate ed immagazzinate sulla spiaggia pagando ivi l’imposta.
Gli ufficiali incaricati al controllo poi nelle città si accertavano che le botti fossero dotate degli appositi sigilli e che il vino non fosse adulterato.

Le Taverne dovevano osservare delle norme che riguardavano orari e divieti.
Erano vietati i giochi d’azzardo e la pratica del ballo e della prostituzione.
La notte dovevano rimanere chiuse.
La chiusura era estesa anche al Venerdì Santo, alla Domenica e a tutti i giorni festivi. Non si poteva bere nei giorni prima della celebrazione della Messa Solenne di Natale, Pasqua, Ascensione, Pentecoste, Feste della Madonna e degli Apostoli.
Nella metà del Duecento fu istituita la Quaresima (che succedeva al Carnevale) con tutte le sue regole che condizionavano a lungo la preparazione ed il consumo di determinati cibi nei vari periodi dell’anno.
Nei concili di Lione del 1274 e di Vienna del 1311 alcuni prelati si dichiararono contrari ad istituire nuovi giorni festivi poiché sostenevano che in tali giorni di festa venivano commessi più peccati che durante la settimana a causa della frequentazione delle Taverne, dei bordelli e per il ballo che vi era praticato.

Le Taverne erano frequentate da una clientela molto varia, dalla gente del posto a quella di passaggio.
Nella maggior parte dei casi la conduzione delle Taverne era affidata ad uomini, ma ve ne erano anche a conduzione femminile. Spesso la padrona e le sue figlie o le domestiche svolgevano anche l’attività di prostitute. Nonostante la legge lo vietasse, questa pratica non era separata dalla Taverna, e nei dintorni sorsero i bordelli, nei quali si potevano così relegare le meretricule. Queste però non erano esonerate dalla frequentazione delle Taverne ed anzi, durante il giorno adescavano i clienti proprio nelle Taverne od in altri luoghi pubblici.
Vi sono inoltre fonti giudiziarie nelle quali è dimostrato che vi erano degli albergatori che, dietro la promessa di una vita meno faticosa, di un mantenimento certo, di qualche nuovo capo di abbigliamento, riuscivano a convincere donne di basso ceto della città o della campagna a rimanere presso il proprio esercizio e quindi a prostituirsi con i clienti.

Il consumo di vino nelle Taverne era esteso anche ai musulmani, malgrado il divieto coranico. Più volte si tentò di proibire che i musulmani frequentassero le Taverne cristiane poiché l’ubriachezza provocava risse e favoriva la bestemmia ed il contatto dei maomettani con le prostitute cristiane. Quindi è appurata l’assidua frequentazione delle Taverne da parte delle donne di malaffare.
Erano anche visitate da mendicanti, delinquenti, vagabondi, emarginati vari, contadini giunti in città per vendere i propri prodotti, facchini, portatori, servitori, salariati, venditori ambulanti, mercanti, viaggiatori, gaglioffi, soldati di passaggio, giocatori e bari, tagliaborse, imbroglioni.

Le Taverne divennero rapidamente dei luoghi di mercato e di scambio di merci.
La principale attività consisteva nella mescita e vendita di vino, qualcuno si fermava anche per consumare un pasto.
Se dalla semplice bevuta l’avventore consumava qualcosa da mangiare, un pasto completo e considerando che la Taverna doveva restare chiusa nelle ore notturne, a meno che il taverniere non fosse anche albergatore, ben presto la Taverna divenne locanda e poi albergo. In questo modo fornendo anche un posto letto su cui dormire od una stanza dove essere ospitati per la notte era possibile prolungare l’orario di apertura.
Un caso particolare riguarda la città di Roma, nella quale si originarono società tra tavernai e gestori di alberghi in prossimità degli Anni Santi e Giubilei che richiamavano nella città un notevole afflusso di pellegrini oltre ad uomini d’affari, signori, sovrani, prelati, gente di chiesa, e di ogni ceto sociale.
Ricordiamo che è proprio in questi anni che viene istituito il primo Giubileo nel 1300 dal Papa Bonifacio VIII, che si ripeterà ogni cinquant’anni fino al 1475, quando Papa Sisto IV, in seguito ad una norma stabilita dal Papa Paolo II che resse il papato prima di lui, modificò la cadenza in venticinquennale.

E’ documentata la presenza della “Taberna Romana” a Zambra, località nel comune di Barberino Val d’Elsa alla confluenza dell’antica via di pellegrinaggio Francigena con una delle vie Volterrane, che nel 1368 disponeva di 200 galline e pollastre, 180 oche del Re, 26 porci, vasche con pesci ed anguille, e nella quale vi lavoravano 3 cuoche e 4 garzoni.

Presso le vie cittadine durante il giorno si svolgevano non solo le varie attività e mestieri, ma anche la delinquenza da parte di ladri, bari, assassini, briganti che precedentemente si incontravano e rafforzavano la solidarietà e le conoscenze nelle Taverne davanti ad una brocca di vino.
Erano comuni i forestieri che vivevano di espedienti e vagavano per le campagne a truffare la gente vendendo prodotti definiti miracolosi e poi si riversavano nelle città od in luoghi dove si svolgevano fiere e mercati. Si riunivano anche in gruppi ed organizzavano serie di giocate truffaldine con dadi falsi a danno di viaggiatori, militari, preti, servitori ed anche cardinali. Le suddette attività avevano luogo non solo lungo le strade cittadine ma anche nelle Taverne.

L’unica concessione di gioco era il giocarsi la bevuta.
Il gioco più diffuso era il gioco dei dadi.
Non si hanno notizie di giochi con le carte.
Uno dei più popolari giochi d’azzardo era la zara, di origine araba. Si giocava con due o tre dadi che venivano lanciati su di un tavolo annunciando la cifra che sarebbe uscita. Raramente ci si indovinava, e spesso i dadi erano truccati, ed il perdente doveva pagare i soldi che corrispondevano alla cifra data dalla somma dei numeri dei dadi.
In una partita a due dadi erano considerate nulle l’uscita del 2, del 3, dell’11 e del 12; in una partita a tre dadi il 3, il 4, il 17 ed il 18; le cifre più basse e quelle più alte.
Questi giocatori arrivavano velocemente alla rovina.
Un gioco meno dannoso ma più pittoresco era quello della mosca, in cui ogni giocatore poneva a sé dinanzi una moneta e quella sulla quale per prima si posava una mosca determinava il vincitore. I più furbi imbrattavano la moneta con qualcosa di goloso in grado di attirare le mosche, tipo lo zucchero.
Meno frequente, ma tollerato solo in pubblico era il gioco degli scacchi.
Si giocava ovunque, nelle piazze, per le strade, nelle Taverne (senza curarsi dei divieti), e perfino nelle chiese!

L’attività truffaldina in molti casi era appoggiata dal tavernaio, ma talvolta questi risultava esserne la vittima.
Divenne uno dei luoghi privilegiati per fatti di sangue in seguito a risse che coinvolgevano anche gli appartenenti ai ceti più elevati, come accadde a Pistoia, che da una semplice rissa d’osteria tra giovani di due rami della casata dei Cancellieri ebbe origine la lunga disputa tra Bianchi e Neri.

La Chiesa ne vietò la frequentazione ai chierici, ma non a chi si serviva invece degli alberghi.
Questo divieto è anche riportato in alcuni contratti agrari da parte di proprietari terrieri a discapito dei loro contadini che avrebbero potuto procurare un danno economico non solo per sé stessi ma pure per il padrone a causa del diffuso gioco dei dadi e della frequentazione comune di bestemmiatori, imbroglioni, perdigiorno, prostitute.

Finanche se da un certo momento vennero promulgate leggi che indicavano sia le Taverne che i bordelli come luoghi abituali di gente dissoluta dedita al vagabondaggio, all’ozio, alla delinquenza, al gioco ed al brigantaggio; non mancavano i cronisti dell’epoca che elogiavano la loro presenza nelle città quale punto di socializzazione, d’incontro tra amici e paesani.
Reperiamo documentato, almeno per ciò che riguarda la Francia, che anche le donne non erano escluse dal bere nelle Taverne insieme agli uomini fino all’ubriachezza.

I contadini solevano ritrovarsi nelle Taverne nei giorni di festa, per il piacere di conversare e di scambiarsi notizie dopo una settimana di lavoro. Ai proprietari terrieri era sconsigliato di frequentare la Taverna nei suddetti giorni pena l’incappare in spiacevoli liti con i mezzadri inebriati dall’alcool del vino o della birra, dell’idromele o dell’ippocrasso.

Una particolare clientela delle Taverne era rappresentata dagli studenti, che trascinati da cattivi compagni, dai truffatori e dai giocatori abitudinari spesso intervallavano o sostituivano completamente lo studio con le gioie ed i piaceri della Taverna, dei bordelli e del gioco. Era consueto il retaggio del pericolo della sodomia, come ricordano Bernardino da Siena nelle sue prediche e Dante che nel XV e XVI canto dell’Inferno pone nel cerchio dei sodomiti tutti fiorentini e li fa correre, per la legge del contrappasso, sotto una pioggia di fuoco senza possibilità di sosta.
Era molto grande il disappunto e la delusione dei genitori che avevano riposto tutte le speranze di una vita migliore nel poter mandare un figlio a studiare in città.

La Taverna fungeva anche da loco d’incontro per specifiche categorie di lavoratori, ma dopo il massiccio sciopero dell’università di Parigi nel 1229 nato da una rissa in Taverna tra gestore e studenti; ed il grande tumulto dei Ciompi nel 1378 a Firenze in cui si erano riuniti ed avevano sviluppato la loro volontà vendicativa, cominciarono ad essere emanate norme di Statuti Comunali che vietavano tutte le adunanze sia pubbliche che segrete in luoghi al di fuori dei Consigli comunali o dei Tribunali, soprattutto nelle strade e nelle Taverne.
Non sempre però queste norme venivano osservate, con il beneplacito di taluni omertosi tavernai.

Il celebre scrittore inglese Geoffrey Chaucer nei “Racconti di Canterbury” – raccolta di novelle composta fra il 1386 ed il 1400 – narra di come un gruppo di pellegrini di varia estrazione sociale (un cavaliere, un mugnaio, un magistrato, un frate di Oxford, un marinaio, una moglie proveniente da Bath, un mercante, e lo stesso Chaucer) che si recavano alla tomba di Thomas Becket nella cattedrale di Canterbury, si incontrano in una Taverna di Southwark in quel di Londra, e l’oste che alla fine sceglierà la migliore, propone loro di raccontare quattro storie ciascuno, due all’andata e due al ritorno. Il tutto per ingannare il tempo durante il lungo pellegrinaggio.

Ricerca a cura di Sabina Cattazzo


Fonti
  • Giovanni Cherubini, “Il lavoro, la taverna, la strada. Scorci di Medioevo”, Liguori Editore, 1997
  • Pierre Antonetti, “La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Dante”, Fabbri Editori, 1998
  • iovanni Cencetti, “TACUINUM (Ricette di cucina Medioevale)”, Centro Studi Romei, 1986

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