L’Alchimia nell’Occidente Medievale

Mosaico

Mosaico in pietra sul pavimento del Duomo di Siena raffigurante Ermete Trismegisto, leggendario padre della tradizione alchemica occidentale

CHE COS’È L’ALCHIMIA?

Anche solo tentare di dare dell’Alchimia una definizione univoca è impossibile.
Perfino ricavare l’origine etimologica della parola risulta difficile. Il termine alchimia deriva probabilmente dall’arabo al-kimiyah, al-kimiyà o al-khimiyah (الكيمياء o الخيمياء), composto dell’articolo al- e della parola kimiyà che significa “pietra filosofale” e che a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco khymeia (χυμεία) che significa “fondere”, “colare insieme”, “saldare”, “allegare”, ecc. (da khumatos, “che è stato colato, un lingotto”) o dal semitico kemesh-shemesh traducibile con “arte solare”. Ma un’altra accreditata teoria etimologica, collega la parola con Al Kemi, che significa “l’arte egizia” o “terra nera”, dato che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ed erano considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Privi di qualsiasi fondamento, ma affascinati, sono invece i racconti che fanno derivare il nome di alchimia da Cam, il figlio di Noè che avrebbe salvato questo antico sapere dal Diluvio o da Chemes, un angelo menzionato nelle scritture apocrife, che lo avrebbe insegnato agli uomini.

Molto semplicemente non esiste una sola alchimia, come vedremo, l’alchimia sviluppatasi in Occidente è differente da quella cresciuta in Oriente nello stesso periodo, e benché esse tendano sostanzialmente allo stesso fine, i metodi che scelsero per raggiungerlo sono, è proprio il caso di dirlo, filosoficamente differenti e distinti. Nel corso dei millenni della storia umana poi, l’alchimia ha mutato forma, e per sopravvivere ha anche dovuto travestirsi d’altro, e spesso altro è stato indicato come Alchimia pur non essendolo affatto. Ciò nonostante, come sostiene Valerio Zecchini, curatore di: “Alchimia” per gli Atlanti della casa editrice il Sapere: La vera alchimia ed i veri alchimisti sono sempre esistiti, esistono anche oggi ed esiteranno sempre.
Forse il termine migliore per definire l’Alchimia prettamente occidentale è quello di “Dottrina” poiché la parola ha sia accezioni scientifiche che religiose. L’alchimia occidentale infatti è profondamente olistica, interessa cioè, sia i campi della materia che quelli dello spirito. In comune con la religione ha una ritualità fondata sull’idea di un principio Unico che da vita all’universo e che come fine ha il congiungimento dell’uomo con questo principio fondatore, con la scienza invece, ha in comune l’imprescindibile attività in laboratorio, gli strumenti e i metodi.

Nel tentativo immane di comprendere la tradizione alchemica occidentale bisogna insomma sgombrare il campo da false interpretazioni, compiute da molti in ogni epoca, quelle ciò é che riducono l’Alchimia o ad una semplice pratica ascetica per raggiungere un più elevato grado di spiritualità e pace interiore, come ad esempio le discipline orientali dello Yoga o del Tantra, oppure ad un’antenata pasticciona e superstiziosa della chimica moderna. Benché come vedremo più avanti, essa abbia prodotto notevoli risultati in campo prettamente chimico, è comunque da considerarsi cosa altra e degna di autonomia.
Nel “Dictionnaire mitho-hermetique” pubblicato da tale Dom Pernèty a Parigi nel 1787, quindi molto tempo dopo il ritorno alla ragione promosso dall’illuminismo, e la conseguente nascita della scienza moderna, colui che pratica l’Alchimia viene così definito:

“amante della saggezza, che è istruito sulle segrete operazioni della Natura, e che imita i suoi procedimenti per prevenire a produrre delle cose più perfette di quelle della natura stessa. Il nome di filosofi è stato donato da sempre a coloro che sono veramente istruiti sui processi della Grande Opera, che si chiama anche Scienza e Filosofia ermetica”.

Per rispondere alla domanda iniziale quindi, affidando ai capitoli successivi i necessari approfondimenti, diremo che l’Alchimia, nella sua accezione occidentale, è una Dottrina olistica fondata sulla fede in un principio Unico creatore del tutto. Questa Dottrina ha come obbiettivo la realizzazione della Grande Opera che porterà l’alchimista a tre imprescindibili risultati:

  • conquistare l’onniscienza
  • creare l’elisir, ovvero, la panacea universale, un rimedio per curare tutte le malattie, per generare e prolungare indefinitamente la vita
  • trasmutare i metalli in oro
BREVE STORIA DELL’ALCHIMIA OCCIDENTALE

Alchimia

Gli alchimisti occidentali generalmente fanno risalire l’origine della loro arte all’antico Egitto. Nel mondo antico, in cui una cosa come la trasformazione dell’oro grezzo in un metallo scintillante doveva sembrare un atto governato da regole misteriose, metallurgia e misticismo erano inesorabilmente legati insieme. Secondo le fonti esoteriche in un tempo remoto, prima della costruzione delle piramidi, quando il deserto era ancora una verde pianura, una ristretta élite di re-sacerdoti conosceva, e si tramandava di generazione in generazione, il segreto alchemico della duplice strada della trasmutazione dei metalli e della rigenerazione dell’uomo. La leggenda vuole che il fondatore dell’alchimia egiziana fosse il dio Thot, chiamato Ermes-Thoth o Ermes il tre volte grande, che presso i Greci divenne noto con il nome di Ermete Trismegisto. Secondo la leggenda il dio avrebbe scritto i quarantadue libri della conoscenza, che avrebbero coperto tutti i campi dello scibile, fra cui anche l’Alchimia. Il simbolo di Ermete era il caduceo, due serpenti che con le loro spire avvolgono un bastone affrontandosi, che divenne uno dei principali simboli alchemici. Il suo più celebre lascito è la: “Tavola di Smeraldo”, nota solamente attraverso traduzioni greche ed arabe, e generalmente considerata la base per la pratica e la filosofia alchemica occidentale.

Quella qui riportata è la versione latina della Tavola di Smeraldo tratta dal “De Alchimia” edito a Norimberga nel 1541 . Traducendola vi si può leggere quanto segue:

“E’ vero senza menzogna, certo, assolutamente veritiero. Ciò che sta in basso è come ciò che sta in alto, e ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso, per fare il miracolo di una cosa unica. E come tutte le cose sono state prodotte e sono venute da uno per la mediazione di uno, così tutte queste cose sono provenute da questa cosa unica per adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il vento l’ ha portato nel suo grembo; la terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il telesma di tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se è convertita in terra. Tu separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente, con grande industria. Esso sale dalla terra al cielo, e di nuovo ridiscende in terra, e così riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Tu avrai per questo mezzo la gloria di tutto il mondo e per questo ogni oscurità fuggirà da te. E’ la forza forte di ogni forza perché essa vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa spessa. Così il mondo è stato creato. Da questa (forza n.d.a.) nasceranno mirabili mutamenti, il mezzo dei quali è qui (rivelato n.d.a.). e’ per questo che sono stato chiamato Hermes Trismegistos, colui che possiede le tre parti della Filosofia del mondo intero. Ciò che ho detto dell’operazione del Sole è perfetto. è compiuto.

Non possiamo sapere con precisione quando sia stato composto questo testo; i primi accenni, risalgono al secolo VIII. Ma la sua stesura, come il suo ritrovamento e la sua diffusione sono narrati in numerose leggende. Si dice, per esempio, che Sara, la moglie di Abramo, lo abbia trovato in una grotta vicino ad Hebron; oppure che Alessandro Magno lo abbia rinvenuto nella tomba del dio Hermes.

E’ storicamente assodato invece che La città di Alessandria fu un centro di conoscenza alchemica, e conservò la propria preminenza fino al declino della cultura egiziana antica. Sfortunatamente non esistono documenti originali egizi sull’alchimia. Questi scritti, qualora fossero esistiti, andarono perduti nell’incendio della Biblioteca di Alessandria, nel 391 d.C. L’alchimia egiziana è quindi per lo più conosciuta attraverso le opere di antichi filosofi greci, sopravvissute solamente in traduzioni islamiche.

Nell’ambiente sincretistico della cultura alessandrina i Greci si appropriarono delle dottrine ermetiche degli Egiziani, mescolandole con le filosofie del Pitagorismo e della scuola ionica. La filosofia pitagorica, come sappiamo, consiste essenzialmente nella credenza che i numeri governino l’universo e che siano l’essenza di tutte le cose, dal suono alle forme. Il pensiero della scuola ionica invece era basato sulla ricerca di un principio unico e originario per tutti i fenomeni naturali; questa filosofia, i cui esponenti principali furono Talete ed Anassimandro, fu poi sviluppata da Platone ed Aristotele, le cui opere finirono per diventare parte integrante dell’alchimia. E quindi presso i Greci che si delinea, con più precisione, come base della nuova scienza, la nozione di una materia prima che forma l’universo, e che può essere spiegata solamente attraverso attente esplorazioni filosofiche. Un concetto molto importante, introdotto in quel tempo dal filosofo Empedocle di Agrigento (V sec. a. C.), è che tutte le cose nell’universo siano formate solamente da quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. A questi elementi Aristotele aggiungerà l’etere, la materia di cui sono formati i cieli e che viene denominata quintessenza.

Nei primi secoli dell’età imperiale, in età ellenistica, si sviluppò di conseguenza, una letteratura filosofico-Alchemica, di vario carattere, accomunata dalla pretesa rivelazione da parte del dio Thot-Ermete, da cui appunto il nome di letteratura ermetica. Nel II secolo sarebbero stati scritti anche gli Oracoli caldaici, dei quali sono pervenuti solo frammenti, che presentano molte analogie con gli scritti ermetici. In questo momento storico, quindi, si sarebbe operata una fusione tra il patrimonio filosofico greco e la gnosi ermetica, nella quale la grande opera assume connotati di tecnica tesa alla realizzazione in senso interiore e cosmico. Tra gli alchimisti ellenistici vanno citati Bolo Democriito di Mende (I sec. a.C.) e Zosimo di Panopoli (II sec. a.C), il primo autore che abbia scritto opere alchemiche in modo sistematico (28 volumi) firmando la propria creazione.

La distruzione del Serapeo e della Biblioteca di Alessandria segnò la fine del centro culturale greco, spostando il processo dello sviluppo alchemico verso il vicino oriente. l’alchimia islamica è molto meglio conosciuta perché meglio documentata e molti dei testi antichi giunti sino a noi si sono preservati come traduzioni islamiche.

Alchimisti islamici come al-Razî (in latino Rasis o Rhazes) diedero un contributo fondamentale alle scoperte chimiche, come la tecnica della distillazione, e ai loro esperimenti si devono l’acido muriatico (l’antico nome dell’acido cloridrico), l’acido solforico e l’acido nitrico, oltre alla soda (al-natrun) e potassio (al-qali), da cui derivano i nomi internazionali di sodio e potassio, Natrium e Kalium. L’apporto di nomenclatura alchimistica a tutta la posteriore cultura occidentale è di origine araba: termini arabi sono infatti, oltre al già visto alchimia, anche atanor (da al-tannur fornace), azoth (forma corrotta da al-zawq, ‘mercurio’), alcool (da al-kohl, indicante una polvere per il trucco ricavata dall’ ‘antimonio’), elisir (da al-iksīr, “pietra” filosofale) e alambicco. La scoperta che l’acqua regia, un composto di acido nitrico e muriatico, potesse dissolvere il metallo nobile – l’oro – accese l’immaginazione degli alchimisti per il millennio a venire.

I filosofi islamici diedero anche grandi contributi all’ermetismo alchemico. Al riguardo la più grande e influente figura è probabilmente Jâbir ibn Hayyân (in arabo جابر إبن حيان, il Geber o Geberus dei Latini). Questo importante alchimista, nato agli inizi dell’VIII secolo, fu il primo, a quanto sembra, ad aver analizzato gli elementi secondo le quattro qualità base di caldo, freddo, secco e umido. Jâbir ipotizzò che, siccome in ogni metallo due di queste qualità erano interne e due esterne, mescolando le qualità di un metallo, si sarebbe ottenuto un altro metallo. La grande serie di scritti che gli vengono attribuiti esercitò una enorme influenza sulle correnti alchimistiche europee.

L’alchimia aveva evidentemente una grande diffusione in tutto il mondo islamico, ripresa dall’Egitto, sviluppata in Iraq, Persia e Siria, ebbe poi una nuova fioritura in Spagna. Per i Filosofi musulmani della natura, l’alchimia era la scienza chiave del momento che si riteneva svelasse tutti i misteri della creazione, nonché fondamento della medicina. La diffusione della lingua araba fece poi in modo che gli scrittori di nazioni diverse potessero contribuire al suo sviluppo. In ambito alchemico i musulmani erano grandi ottimisti: se i loro esperimenti fallivano non era a causa dell’infondatezza delle loro teorie, ma perché non tutte le condizioni dell’esperimento erano ottimali. Fra le condizioni vi erano la qualità delle sostanze usate, il momento favorevole, la corretta posizioni delle stelle e il loro valore di sperimentatori. Tuttavia, i progressi da loro compiuti nel campo delle scienze offrivano terreno solido per le loro speranze. D’altra parte, se era vero com’era vero, che dei granelli di sabbia opachi potevano essere trasformati in vetro trasparente, come avevano scoperto gli alchimisti di Cordova, appariva ragionevole pensare che i metalli vili potessero essere trasformati in argento o in oro, dato che all’apparenza erano molto più simili. E ancora, se le capacità umane erano in grado di produrre ferro e acciaio in diversi gradi di qualità e purezza ( e la città spagnola di Toledo divenne celebre in tutto l’occidente per la qualità dei suoi acciai), perché non avrebbero potuto essere in grado di produrre l’oro che cresce nella terra in maniera naturale?

L’ALCHIMIA ARRIVA NELL’EUROPA MEDIEVALE

L’Occidente riprende contatto con la tradizione alchemica greca attraverso gli Arabi, tutta l’alchimia medioevale europea si basa interamente sull’eredità musulmana. Per quasi 500 anni infatti, durante tutto l’alto Medioevo, mentre nell’impero islamico gli alchimisti traducevano le opere sopravvissute all’incendio della biblioteca d’Alessandria ed apportavano contributi sostanziali e significativi, in Europa l’alchimia era caduta in disuso.

Anche se Il primo incontro con la cultura alchemica avvenne probabilmente ad opera di Gerberto di Aurillac (X sec. d. C.), che più tardi divenne Papa Silvestro II. E benché si ritenga spesso che la prima menzione dell’alchimia in Occidente sia quella di un brano della cronaca di Adam de Breme, datato intorno al 1050, che narra la trasformazione fraudolenta dell’oro da parte di un ebreo bizantino di nome Paolo al vescovo di Amburgo; Il rientro ufficiale dell’alchimia in Europa viene in genere fatto risalire al 1144, quando Roberto di Chester, futuro arcidiacono di Pamplona, tradusse in latino, dall’arabo, il Liber de compositione alchimiae, un libro dai forti connotati iniziatici, mistici e esoterici, nel quale si narra la storia del primo grande alchimista islamico: Khalid ibn Yazid, discepolo di un adepto cristiano di nome Morieno, che si dichiara erede del sapere di Ermete Trismegisto e discepolo, a sua volta, del leggendario Stefano di Alessandria.

Tenendo presente che il mondo latino ormai ignorava che cosa fosse l’Alchimia, Roberto di Chester scrive:

“il libro s’intitola “Sulla composizione dell’alchimia”. Dal momento che il vostro mondo latino ancora non sa che cosa sia l’alchimia e quale sia la sua composizione, lo spiego in questo discorso. Ho dato questo nome, sebbene sconosciuto e sorprendente, in modo che possa essere chiarito con una definizione. Il filosofo Ermes e i suoi successori definiscono la parola nel modo seguente, per esempio, nel libro della trasmutazione delle sostanze: l’alchimia è una sostanza fisica composta di una o da una cosa e resa più preziosa dalla congiunzione della prossimità con l’effetto e con la stessa naturale combinazione ( mistura) convertendo naturalmente con le migliori prove. Ma in ciò che segue, quanto abbiamo detto sarà spiegato là dove c’introdurremo nel bel mezzo della composizione di essa (l’alchimia n.d.a.)

Roberto di Chester annotava poi che la parola “alchimia” era stata detta spesso “Pietra” ma egli preferisce definirla con “argento trasmutato”.

Malgrado il linguaggio cifrato facesse da barriera all’integrazione del nuovo sapere, la goccia gettata nel mare dal futuro arcidiacono divenne presto un fiume e poi un inondazione, le traduzioni dall’arabo si moltiplicarono ed il centro più importante a tal fine in quel periodo era Toledo. Sotto i Mori, la città spagnola, divenne infatti un centro culturale importantissimo. Dopo che Alfonso VI la conquistò nel 1085, essa divenne la capitale della Castiglia, ma la popolazione contava ancora tantissimi musulmani ed ebrei e la lingua principale continuava ad essere l’arabo. L’arcivescovo Raimundo istituì quindi a Toledo la “Scuola di Traduttori” per trasmettere la cultura araba all’Occidente. I mozarabi, i cristiani di lingua araba, si unirono alle file dei traduttori ma fondamentali rimasero i traduttori ebrei che conoscevano sia l’arabo che il latino. Daniele di Morley nel Norfolk affermò che , dopo aver trovato insignificanti i professori di Parigi, a Toledo si era imbattuto nei “filosofi più saggi del mondo”. Forse il più grande traduttore della scuola di Toledo, senza alcun dubbio il più prolifico, fu Gherardo da Cremona (XII sec. d. C.), che pare abbia tradotto trentasei volumi tra cui l’Almagesto, le opere di Averroè, ed altre, dichiaratamente alchemiche, come: Il libro di Settanta di Geber , il De alumibus et salibus di Rhazes e l’oscuro testo di teoria occulta “Liber luminus luminum”.

La raffinata tradizione culturale di Toledo proseguì nel secolo successivo sotto Alfonso X, re di Castiglia e Leon, che per il suo amore verso il sapere si guadagnò il sopranome di : “el Sabio”. Ma guadagnò altresì, alla città di Toledo, una reputazione dubbia tra i cristiani integralisti che iniziarono a perseguire ogni forma di eresia. Il monaco cistercense Helinado de Froidmont (morto nel 1229 circa) scriveva infatti: “il clero trova a Parigi arti liberali, a Orleans autori, a Bologna leggi, a Salerno dottori in medicina, a Toledo demoni e da nessuna parte buone usanze”. Malgrado l’impegno profuso da Helinado e dai suoi confratelli, però Il materiale alchimistico dei testi arabi verrà rielaborato durante tutto il XIII secolo ed andrà a costruire, per così dire, quella “forma mentis” tipicamente medioevale per cui la scienza della magia si situa molto vicino alla magia della scienza tanto che la scienza nel Medioevo veniva solitamente definita: “magia della natura” o “filosofia della natura”. Con la seconda metà del 1200, l’Europa comincerà finalmente a dare un contributo attivo, e personalissimo, allo svilupparsi del pensiero Alchemico. Gli alchimisti europei cominciarono infatti a fare le loro scoperte ed adattarono da subito, sovrapponendoli, il simbolismo alchemico a quello della teologia cristiana.

RUGGERO BACONE, ALBERTO MAGNO, ARNALDO DI VILLANOVA E RAIMONDO LULLO

Alchimia

Ruggero Bacone fu assoluto dominatore nel mondo intellettuale del XIII secolo in Europa. Nacque attorno al 1241 nel Somerset, in Inghilterra, e prima di morire, nel 1292, la sua fama di mago era talmente grande da meritargli il titolo di “Doctor Mirabilis”. Bacone studiò greco presso l’università di Oxford mentre vi era rettore Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln e noto Alchimista, di lui si raccontava infatti che possedesse un Golem parlante di bronzo, forse conservato nel suo laboratorio che si trovava in una delle torri del Folley Bridge (ponte della follia, n.d.a.). Conclusi gli studi entrò nell’ordine francescano, intorno al 1257, poi insegnò all’università di Parigi. Tornato ad Oxford ebbe forti contrasti con le autorità per le sue idee e le sue ricerche; Bacone, nella sua “Opus maius” sosteneva che: “ci sono due tipi di conoscenza, attraverso l’argomentazione e attraverso l’esperienza. L’argomentazione trae conclusioni e ci costringe a riconoscerle, ma non ci dà sicurezza né ci toglie i dubbi affinché la mente possa riposare nella verità, almeno che essa non sia fornita dall’esperienza”. Bacone annoverava tra le esperienze anche l’ispirazione divina e l’intuizione spirituale, ma ciò non bastò a salvarlo dall’avversione del pensiero dominante, mentre oggi viene considerato precursore del moderno metodo scientifico. Alla lunga però, come lui stesso afferma, dovette abbandonare per mancanza di fondi. Aveva speso oltre duemila libbre per acquistare libros secretos e strumentazione varia, lasciò quindi con profondo rammarico convintissimo che valesse la pena di continuare. Nei suoi testi compaiono spesso riferimenti all’arte dell’Alchimia. Nel De mirabili protestate artis et naturae (pubblicato soltanto nel 1542, n.d.a.) Bacone definisce l’Alchimia come “scienza di una certa medicina ed elisir” di cui, adottando lo stile per enigmi dei maestri islamici, che egli leggeva in arabo, propone questa ricetta:

“Prendi del sale, lavalo accuratamente in acqua e purificalo in altra acqua. Dopo con diverse contrizioni, puliscilo con i sali e brucialo in vari passaggi, da renderlo terra pura e separarlo dagli altri elementi. Cerca di capirmi, se sei capace, deve essere composto assolutamente dagli elementi, e quindi sarà parte della Pietra che non è Pietra e che è in ogni uomo e che tu troverai in ogni momento dell’anno al suo posto”

Nell’Opus tertium la definizione muta e chiama l’Alchimia parte della “scienza sperimentale” distinguendo tra alchimia “speculativa” che: “tratta della generazione delle cose dagli elementi e di tutte le cose inanimate e degli umori semplici e compositi; delle pietre comuni e dei marmi, dell’oro e degli altri metalli, degli zolfi e dei sali e dei pigmenti e dei lapislazzuli, e del minio, e di altri colori, e degli olii e dei bitumi da bruciare, e di altre cose infinite, concernenti ciò che non si trova nei libri di Aristotele” dall’alchimia “pratica” che: ” insegna a produrre i metalli e i colori e molte altre cose, più o meno abbondantemente, per artificio, di quanto non avvenga in natura” e anche ” a scoprire quelle sostanze che hanno il potere di protrarre la vita umana per un periodo più lungo di quello che non possa concedere la natura”.

Bacone chiamava questo prolungamento della vita “la gloria di andare avanti e continuare ad essere” l’interesse per quest’aspetto della Grande Opera era una novità per l’alchimia europea e solo dopo le opere di Bacone aumentò fino a divenire una fissazione. Nelle note di commento al manoscritto anonimo “Secretum secretorum” il Doctor mirabilis segnala che, benché il processo alchemico possa essere applicato ai minerali come ai vegetali, i risultati migliori si ottengono sulle: “parti dell’uomo, fra queste il sangue, in cui a occhio si distinguono quattro umori: flegma, colera, sangue e melanconia. L’alchimista allora cercadi separare a turno questi umori e purgarli l’uno dall’altro. E quando dopo arduo lavoro sono ridotti alla loro forma pura e semplice, vengono mischiati in proporzioni segrete, a cui viene aggiunto argentovivo dopo che è stato modificato e sublimato parecchie volte […] E poi viene proiettato sui minerali di base e si nobilita. Ma tutto ciò è un lavoro assai difficile che solamente i più saggi e i più felici riescono a compiere.” Ruggero Bacone oltre agli studi alchemici, esplorò i campi dell’ottica e della linguistica ma è, senza alcun dubbio, il primo vero alchimista dell’Europa medievale. I suoi testi, tra cui i fondamentali: il “Breve Breviarium”, il “Tractatus trium verborum” e lo “Speculum Alchimiae”, oltre ai numerosi pseudo-epigrafi a lui attribuiti, furono utilizzati dagli alchimisti fino al XIX secolo.

Alchimia

Un’ altra fra le menti più eminenti del XIII secolo fu Alberto Magno, così infinitamente erudito da essere nominato: “Doctor Universalis”. Nacque in Svevia, a Lauingen, nel 1193 con il titolo di conte di Bollstadt. Ancora molto giovane entrò nell’ordine domenicano e nel 1226 divenne vescovo di Ratisbona ma fece voto di povertà e si ritirò in un monastero a Colonia. Vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1280, senza mai sciogliere il suo voto, tanto da camminare spesso a piedi nudi anche durante i viaggi ufficiali. Alberto Magno affronta la tematica alchemica nel De mirabilibus mundi e nel Liber de Alchemia (di incerta attribuzione n.d.a.). Il vescovo però scriveva che: “l’Alchimia non può mutare le specie, ma soltanto imitarle”. Nel suo “Libro dei minerali” sostiene d’aver visitato molti laboratori alchimistici ma, pur accettando la possibilità teorica della trasmutazione dei metalli confessa di non aver mai assistito concretamente alla sua realizzazione. Afferma invece d’aver assistito personalmente a questo curioso esperimento:

“Recentemente si vide da noi uno smeraldo di piccole dimensioni, ma di meravigliosa bellezza. Quando se ne doveva saggiare la virtù, qualcuno si fece avanti e disse che se si descriveva un cerchio con lo smeraldo, intorno a un rospo, e se si poneva la pietra dinnanzi agli occhi del rospo stesso, potevano darsi due casi:o la pietra, se di debole virtù, sarebbe stata spezzata dagli sguardi del rospo, o questo sarebbe stato bruciato dalla pietra, qualora essa avesse posseduto in pieno il suo naturale vigore. Senza indugio, si preparò tutto com’era stato suggerito, e dopo breve tempo, durante il quale il rospo tenne gli occhi fissi sulla gemma, questa cominciò a sgretolarsi come una noce e una scheggia di essa schizzò oltre il cerchio. Allora il rospo, che fino allora era rimasto immobile, si ritrasse, come se fosse stato liberato dall’influsso della gemma.”

Secondo la tradizione anche Alberto Magno possedeva un golem d’ottone parlante, ma fu distrutto dal suo miglior discepolo perché lo disturbava negli studi. Quel discepolo era san Tommaso d’Acquino. Nato nel 1225 e morto nel 1274 fu anch’ egli frate domenicano e filosofo e, come il suo maestro, credeva fermamente nella trasmutazione dei metalli attraverso “la vera arte alchimistica”. Nelle pagine della Summa theologiae, il santo fa il primo tentativo d’impostare un sistema teologico complessivo ed esprime il convincimento che gli alchimisti possano produrre l’oro, sebbene solitamente esso non sia del tutto identico all’oro naturale.

Alchimia

Domenicano era anche il catalano Arnaldo di Villanova. Secondo una lettera che egli stesso spedì a papa Bonifacio VII era nato a Valencia attorno al 1240 ed era di origini modeste. Entrato in convento insegnò teologia a Montpellier prima di recarsi a Salerno dove era stata istituita la prima facoltà di medicina in Europa. Si dimostrò talmente versato nelle scienze mediche da essere chiamato per curare re come: Pietro III d’Aragona, Giacomo II d’Aragona e Federico III di Sicilia, o pontefici come: papa Bonifacio VIII, papa Bonifacio IX e papa Clemente V. Malgrado la sua enorme fama si inimico L’Inquisizione professando l’imminente arrivo dell’Anticristo e per questo fu imprigionato per due anni. Uscito continuò a viaggiare per l’Europa meridionale morendo durante un trasferimento in mare da Napoli a Genova nel 1316. Intorno alla sua figura nacquero subito diverse leggende, come quella che avesse prodotto dei lingotti d’oro alla corte di papa Bonifacio VIII e molti dei testi alchimistici che gli vengono attribuiti sono probabilmente appartenenti ai secoli successivi. Conoscendo l’arabo l’ebraico e probabilmente anche il greco era però in grado di leggere i testi degli alchimisti nella lingua originale e come i musulmani Geber e Rhazes non vedeva distinzione tra Alchimia, Medicina, Magia e Astrologia, estendendo la teoria sull’equilibrio dei quattro umori di Galieno (sanguigno, collerico, melanconico e flemmatico n.d.a.) anche ai metalli, e ricercando rimedi chimici e metallici per le malattie causate dal disequilibrio degli umori sopraccitati. Per la cura delle malattie Arnaldo, come gli alchimisti egizi e musulmani, si serviva anche di sigilli e amuleti, per curare papa Bonifacio VIII dal “mal della pietra” (calcoli biliari, n.d.a.) si servì infatti d’un sigillo a forma di leone.

L’opera più famosa di Arnaldo di Villanova è il “Rosarius philosophorum” diviso in due parti, dedicate rispettivamente alla teoria ed alla pratica dell’Alchimia, ove spiega la preparazione del suo celebre elisir, la panacea per le malattie ed il ringiovanimento del corpo che lo rese famoso in tutto il medioevo. Ma un altro aspetto importante nell’ Alchimia di Arnaldo da Villanova è il simbolismo cristiano. Arnaldo sovrappone e paragona le varie operazioni di laboratorio al concepimento, alla nascita , alla crocifissione e alla resurrezione di Cristo. Dopo essere stata vestita del misticismo magico egizio, del sincretismo filosofico greco e della cultura sacra islamica, l’Alchimia, nel medioevo europeo, si traveste del simbolismo cristiano. Ciò dimostra che la fede nell’Alchimia è una fede trasversale a tutte le religioni, poiché fondamentalmente è fede nell’anima vivente e nelle possibilità di autotrasformazione. E forse dimostra una cosa ancora più importante, che nel loro nocciolo tutte le religioni sono una.

Arnaldo di Villanova non fu solamente un teorico quindi, ma anche uomo di laboratorio, e sperimentò egli stesso molte delle operazioni alchemiche che descriveva. Fu probabilmente il primo a distillare “l’aqua ardens” (l’alcol, n.d.a.) dal vino, ed a rilevare gli effetti nocivi e venefici dell’ossido di carbonio.

Alchimia

Raimondo Lullo fu, secondo alcuni, discepolo di Arnaldo, secondo altri lo incontrò a Napoli poco prima del fatale imbarco per Genova e ne rimase così folgorato da convincersi immediatamente del potere dell’Alchimia. Sicuramente Lullo ebbe modo di conoscere l’Alchimia attraverso i musulmani spagnoli. Nato a Maiorca intorno al 1232, fu autodidatta. Da giovane fece il trovatore e scrisse romanzi e manuali di cavalleria. Nel 1272 ebbe un’esperienza visionaria sul monte Randa, a Maiorca, che segnò il suo destino trasformandolo in quello che i suoi contemporanei usavano chiamare “Doctor Illuminatus”. La sua forza visionaria ed il suo fervore cristiano erano talmente grandi che decise di smettere i panni di tutore dei figli di Giacomo I di Aragona (el Conquistador n.d.a.), per farsi missionario di Cristo tra i musulmani. Dopo aver studiato l’arabo per nove anni, per poter confutare i filosofi islamici nella loro lingua, sviluppò una sorta di misticismo razionalista teso a difendere, con la logica e la ragione, le fondamentali rivelazioni della fede cristiana per dimostrarne, senza ombra di dubbio, la superiorità su tutte le altre. Sembra però che sia finito lapidato a morte dai Saraceni dell’Africa settentrionale.

Alchimia

Il metodo dimostrativo di Lullo è una sorta di schema universale, applicabile a più contesti, fu usatissimo dagli alchimisti contemporanei e successivi. Esso consiste in figure geometriche e lettere simbolo delle “dignitates dei”, le Dignità divine come per esempio: Volontà, Virtù, Gloria e Giustizia, che unite attraverso cerchi concentrici mobili formano dei diagrammi che Lullo interpreta come possibili forme dell’universo voluto dal Dio dei cristiani.

A destra una ricostruzione grafica di un disco lulliano.

Come tutti gli Alchimisti medioevali che crearono attorno alla loro figura fama e grande seguito, anche per Raimondo Lullo la quantità di testi apparsi sotto il suo nome è inverosimile, se ne contano almeno 143, ma la maggior parte sembrano opera di alchimisti anonimi che usavano il nomadi Lullo per dar maggior credito e visibilità alla loro opera. Il testo più interessante attribuito a Raimondo Lullo è intitolato il “Testamento” modello per molti alchimisti a venire. Diviso in una prima parte teorica, una seconda pratica ed una terza parte dei codici, offre in definitiva un resoconto sistematico dell’arte alchemica.

L’autore del testo afferma che Dio ha usato la materia originaria dell’argentum vivum (mercurio n.d.a.) per creare tutte le cose, la parte più fine formò i corpi degli angeli, quella grezza le sfere celesti, i pianeti e le stelle, la più grezza di tutte i corpi terrestri. Parte del mercurio si trasformò poi nei quattro elementi: fuoco, acqua, terra, e aria, ma un’altra parte andò a formare la quintessenza che pur trovandosi nel suo stato più puro nelle sfere celesti è presente anche nei corpi terrestri ed è causa della loro generazione, movimento e corruzione. Scopo di tutti gli alchimisti è manipolare questa quintessenza per modificare, incrementandola, la sua attività in questo mondo. Il testo prosegue indicando l’acqua ardens (l’alcol n.d.a.) come forma impura della quintessenza, per purificarla era necessario versarla in un alambicco detto pellicano e porlo su un ampio strato di materia fermentante come lo sterco di cavallo. Tramite questo procedimento l’acqua ardens avrebbe dovuto separarsi in due strati ben distinti, una massa torbida e opaca in basso, e una in alto chiara e azzurra come il cielo: la quintessenza.

Come abbiamo già detto la figura di Raimondo Lullo entusiasmo le generazioni a venire e durante il rinascimento gli fu attribuito un credito incontrastato. D’epoca rinascimentale è infatti il testo dal pomposo titolo: “Gli esperimenti di Raimondo Lullo di Maiorca, il filosofo più erudito, in cui le operazioni della vera filosofia chimica vengono esposte apertamente”. Il testo infatti contiene diverse ricette per l’ottenimento della pietra filosofale. Di seguito riportiamo il testo di una di queste che agisce con due ingredienti fondamentali: l’oro ed il “mercurio filosofale”, in altri testi chiamato anche mercurio dei filosofi poiché differisce sostanzialmente da quello comune e può essere ottenuto solo dal vero alchimista. è insomma l’ingrediente segreto, la materia prima senza la quale qualsiasi attività di laboratorio risulterebbe infruttuosa.

“prendere l’aqua fortis (acido nitrico n.d.a.) cosi com’è, come ho detto prima, e in esso dissolvere tre once di Luna (argento n.d.a.); poi lasciarlo purificare venti giorni, poi prendere tre once di Sole (oro n.d.a.) e dissolverlo in diciotto once di aqua fortis cosi com’è, in cui dovrebbero essere disciolte prima ancora quattro once del sale fissato dell’urina, come si ottiene nel suo esperimento. Poi putrefare questi due corpi ripetutamente per venti giorni naturali. Poi muovere ripetutamente lo spirito di entrambi, e anche Luna e Sole, come spiegato prima. Ora, quando tutto lo spirito è stato rimosso e le acque sono state animate, anche la terra non produrrà più fumi, e ci sarà un segno che Sole e Luna si eclissano. Poi separate la terrai entrambi e allo stesso modo mescolarli in una bilia di vetro accuratamente sigillata. metterla sul fuoco di riverbero per ventiquattro ore. Poi va tirata fuori e aggiunto prima l’acqua di aqua fortis animata e corretta sette volte con la cenere. E quando avrà bevuto tutta l’acqua a poco a poco, allo stesso modo degli altri esperimenti, aggiungere l’acqua di Sole, senza correzioni, un poco alla volta secondo l’ordine in cui si è imbevuto la terra con l’acqua di Sole. Poi farloa fermentare in questo modo. Prendere una parte di Sole e tre di Mercurio filosofale e una parte della medicina, e altrettanto oro. Metteri insieme in un recipiente di vetro e porlo su ceneri calde e in breve tempo si trasformerà in polvere. Poi incerarlo con il terzo olio di Sole. Poi, quando il tutto è ben cerato e portato alla forma di oyle, proiettarne una parte su cento parti di mercurio: tutto si trasformerà in medicina (l’elisir di lunga vita n.d.a.). Prenderne ancora una parte e proiettarla su cinquecento parti: il mercurio si trasformerà in oro migliore e più puro dell’oro minerale.”

Glossario illustrato

Glossario illustrato di antichi simboli alchemici

LE CATTEDRALI GOTICHE

Prima di concludere questo breve excursus nella tradizione alchemica medioevale, che chiaramente è ben lungi dall’essere esaustivo, non possiamo esimerci dal prendere in considerazione un altro fondamentale aspetto mistico, e quindi anche alchemico, di questo periodo.

Come abbiamo detto l’alchimia medioevale, si connota per la sovrapposizione della simbologia cristiana a quella dell’attività di laboratorio tipica del vero filosofo. In perfetto accordo armonico lo stesso accade nella pietra delle cattedrali gotiche, che stanno fiorendo in tutta Europa. Il Gotico appare infatti per la prima volta in Francia intorno al 1128, quando l’abate Suger di Saint Denis fa costruire la prima cappella gotica sulle fondamenta romaniche della sua abbazia. A breve sarebbero poi sorte le cattedrali di Notre Damme a Chartres ed a Parigi. Un tempo così ristretto da far pensare all’esistenza di una sorta di scuola dell’architettura gotica. La fantasia esoterica ama far coincidere la nascita di questa “scuola gotica” con il ritorno da Gerusalemme di sei o più dei nove Cavalieri Templari partiti per la prima Crociata, recentemente conclusasi. Per il privilegiato e prolungato contatto che l’ Ordine del Tempio ha avuto con i mori non ci sentiamo di escludere a priori la possibilità che i Cavalieri abbiano dato un qualche contributo alla trasmissione dell’antica sapienza alchimistica dal Medio Oriente all’Europa.

Gli alchimisti medioevali enumeravano tra i loro padri spirituali, oltre ad Ermes, anche Mosè, poiché esso proveniva dall’Egitto e come si legge nella Bibbia (Atti 7, 22 n.d.a) “venne istruito in tutta la sapienza degli egiziani”. Sempre seguendo il racconto narrato nel Libro Sacro, a Mosè vennero affidate le Tavole della Legge che, come sappiamo, distrusse infuriato per il tradimento degli israeliti. Dio però, una volta che Mosè ebbe sbollito la rabbia, gli riconsegnò delle nuove tavole, “scritte sui due lati, da una parte e dall’altra”. Secondo gli alchimisti medioevali su quelle tavole, iscritte sulla faccia opposta a quella dei comandamenti, erano riportate le leggi della misura, dei rapporti e dei numeri citate nella Genesi ed usate da Dio per “costruire” l’intero universo. La storia sacra dice che Mosè fece riporre le tavole nell’Arca dell’Alleanza, e che Re David ordinò a Salomone di costruire un tempio a custodia dell’ Arca. Anche Salomone viene spesso riconosciuto nel medioevo tra i padri dell’alchimia, poiché:

“Dio concesse a Salomone saggezza e intelligenza molto grandi e una mente vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare. La saggezza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza dell’Egitto. Egli fu veramente più saggio di tutti.”
Libro dei Re I, 4, 29-31 n.d.a.)

Salomone avrebbe quindi costruito il tempio di Gerusalemme come una copia dell’universo divino usando le misure riportate sulle tavole. Nabucodonosor assalì e conquistò Gerusalemme nel 587 a.C. e verosimilmente fece distruggere il tempio e tutto il suo contenuto. Ma per saziare la fantasia, si può accettare l’ipotesi che l’arca fosse stata nascosta e preservata prima dell’assalto finale, e che i Cavalieri Templari si fossero stabiliti sul sito dell’antico tempio di Salomone perché speravano di ritrovare quel nascondiglio ed il suo prezioso tesoro. Con le proporzioni divine nelle proprie mani poi, avrebbero orchestrato la costruzione delle cattedrali gotiche per la maggior gloria di Dio.

Quello che è certo è che l’abate Sauger ammise d’ispirarsi per l’edificazione della cattedrale gotica di Saint Denis ai modelli di Haiga Sophia a Costantinopoli e del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Ma quale apporto avrebbero fornito gli alchimisti medioevali alla costruzione delle cattedrali? Ci si muove chiaramente nel campo della fantastoria ma un apporto significativo potrebbe essere stato quello economico. Tema principale della tradizione alchemica medioevale, in Europa, è la fabbricazione dell’Oro. Mentre in Cina, ad esempio, le ricerche degli alchimisti erano concentrate sulla fabbricazione dell’elisir di lunga vita, in Europa re, governanti e pontefici, aggregavano alle proprie corti alchimisti e sedicenti tali, nel tentativo di disporre dell’oro alchemico. Il vero filosofo però, secondo le leggi non scritte della Grande Opera Alchemica, può giungere a completare la sua ricerca solo se scelto da Dio per la sua onesta condotta morale, e sa di poter spendere i frutti conseguiti, in questo caso la capacità di trasmutare i metalli vili in oro, solo a fin di bene. E quale miglior opportunità del finanziamento d’una cattedrale? Difficile è ancor oggi capire come abbia fatto una cittadina di 20.000 abitanti come Chartres a disporre dei fondi necessari per finanziare la costruzione della sua cattedrale e completarla nel tempo record di trent’anni. è evidente che già dall’inizio doveva essere chiaro un progetto globale che fa probabilmente di quella di Chartes, per l’unità armoniosa di tutte le sue proporzioni, la cattedrale più perfetta mai edificata. Un progetto globale che comprendeva anche gli enigmi delle vetrate e del labirinto. Le vetrate sono probabilmente la cosa più sorprendente della cattedrale di Chartres.

Le prime vetrate dipinte nacquero in Persia, probabilmente nell’XI secolo, opera di alchimisti musulmani. In Europa fecero la loro prima ed improvvisa comparsa nell’abbazia di Saint. Denis. Per un certo tempo, nonostante la grande richiesta causata dal diffondersi dello stile gotico, tutte le vetrate di questo genere erano doni personali dell’abate Sauger, ma poi il centro di produzione per i vetri colorati si spostò da Saint. Denis a Chartres, che li produsse per le cattedrali francesi di Sens, Parigi, Rouen e Bruoges, poi, verso il 1140, misteriosamente, la produzione del vetro colorato di Chartres cominciò a declinare.

Secondo un monaco tedesco Teofilo, che scrive nel XII secolo, il vetro era fatto con una parte di sabbia di fiume e due parti di potassa di faggio essiccato, i colori iridescenti venivano poi creati aggiungendo ossidi di metallo; ossido di manganese per il porpora, di ferro per il verde, di rame per il color rubino e così via. Il famoso blu dei vetri di Chartres veniva prodotto con parti di ossido di cobalto ma ancor oggi non è stato possibile riottenerne la peculiare luminosità. Tutte queste tecniche debbono chiaramente moltissimo al lavoro degli alchimisti, simboleggiato dal labirinto intarsiato sul pavimento della navata. Il sentiero per il completamento della Grande Opera è complicato e richiede perseveranza, ma vi è pure una via dritta che arriva subitaneamente al centro del labirinto. In Alchimia esistono infatti due vie, quella asciutta, immediata come una rivelazione, e possibile solo alle grandi anime, e quella bagnata, lunga e tortuosa, fatta di tentativi e magnificamente riassunta dal moto alchemico “Ora, Lege, Lege, Lege, Relege, Labora ed Invenies” ovvero: prega, leggi, leggi, leggi, rileggi, rielabora e troverai. Alla fine di entrambe le vie vi è il raggiungimento dell’onniscienza, la capacità di leggere il disegno divino e le leggi che regolano l’universo, proprio come osservando il labirinto di Chartres, è possibile vederci descritte le proporzioni che regolano tutto l’edificio. L’impianto decorativo delle cattedrali, che serviva a corporificare nella pietra la parola di Dio ad usufrutto del popolo analfabeta, funge, di rimando, proprio per quella sovrapposizione di simbologia a cui abbiamo accennato più volte, come corporificazione nella pietra del messaggio alchemico, che in epoca medioevale viene considerato verbo divino, ad usufrutto dell’adepto che è in grado di decifrarlo.

I personaggi della storia sacra, senza perdere alcunché del loro significato religioso, vengono caricati e arricchiti di un ulteriore significato e, per esempio, Sant’Anna, madre della Vergine Maria, rappresenta la materia prima, grezza e non ancora sublimata, da cui è destinata ad emergere attraverso l’opera in laboratorio il lucente metallo, o mercurio dei filosofi, spesso descritto come “Vergine Bianca”. La stessa Vergine, conseguimento della Prima Opera, fecondata dallo spirito divino, dovrà “partorire il bambino che costituisce l’armonia tra gli opposti” Cristo infatti, inserito nel seno della vergine tramite l’azione dello Spirito Santo è al contempo uomo e dio. Anche S. Cristoforo, letteralmente portatore di Cristo, viene spesso identificato con l’enigmatico mercurio dei filosofi. S. Giorgio che uccide il Drago, per salvare la vergine, rappresenta invece la lotta che l’alchimista deve intraprendere per abbattere la materia prima, il drago appunto, e liberare dal suo involucro la vergine bianca. Anche l’asino che trasporta Maria a Betlemme si carica degli stessi significati del drago. Perfino la strage degli innocenti di Erode e la stella dei magi vengono usati per simboleggiare alcuni procedimenti di laboratorio . L’apostolo Pietro invece, che Cristo definisce Pietra angolare o Pietra di fondamento è simbolo dell’intera opera, perché è la pietra iniziale e grezza che la volontà di Dio, trasforma, dopo la necessaria caduta, nella Pietra filosofale.

Le cattedrali gotiche sono quindi il simbolo del cielo sulla terra, costruite secondo le stesse proporzioni e arricchite della stessa saggezza, ad ulteriore riprova del principio fondamentale enunciato dalla Tavola di Smeraldo: “come in alto così in basso”. Anche il fine spirituale è lo stesso: permettere a colui che si pone alla ricerca, di uscire dal labirinto di questo mondo e attraversare le porte celesti che conducono alla vera luce.

Santa Anna con la Vergine ed il Bambino

Masaccio, Santa Anna con la Vergine ed il Bambino, da notare il contrasto simbolico tra la madre “Nigra” ed il candore della vergine

San Zeno di Verona

San Zeno di Verona. Affresco raffigurante la lotta alchemica tra S.Giorgio e il Drago

Ricerca a cura di Thomas Donati


Fonti
  • Peter Marshall: I segreti dell’alchimia, Edizioni Mondolibri S.p.A, Milano
  • Helmut Gebelein: iniziazione all’Alchimia, Edizioni Mediterranee, Roma
  • Valerio Zecchini: Alchimia, Edizioni Demetra S.r.l, Verona
  • Wikipedia
  • Google

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