Nizariti: la setta degli assassini

I nizariti, o setta degli assassini, erano una tribù sciita della Persia orientale. Formatasi già dal VII secolo fu in attività per tutto il medioevo, ma ebbe il suo periodo migliore dal 1094 alla morte del califfo fatimida del Cairo Al-Mustansir bi-llah, si aprì una guerra tra i due figli Nizar e Mustali per la successione. La setta si schierò con Nizar, ma i partigiani di quest’ultimo furono sconfitti in Egitto da qui il termine Nizariti dopo lo scisma che divise la setta in due fazioni: una minoritaria, di stampo sciita che si ispirava alla corrente politica che discendeva da Ali, genero di Maometto, l’altra, ismailita che si considerava a sua volta l’unica vera depositaria degli insegnamenti del profeta, e venerava come settimo profeta Ismail, un teologo vissuto nell’VIII secolo. All’interno degli ismailiti si costituì una setta intransigente e fanatica i cui membri, i “Fidawi”, erano noti col nome di “Assassini” sotto la guida di Hasan ibn al-Sabbah detto “Sheikh-el-Jebel” (ovvero “vecchio della montagna”), figlio d’un mercante persiano ebbe un’idea geniale per la setta, fu quella di dotarla di rifugi assolutamente inviolabili; il più famoso era il Nido dell’Aquila, ad Alamuth, una piccola città arroccata su una montagna tra Teheran e il mar Caspio assolutamente inespugnabile. La leggenda vuole che Hasan ibn al-Sabbah, giovane, travestito da mendicante si recò dal re chiedendo di poter acquistare il suo castello. Il re ironicamente rispose di si, poiché non credeva che il “mendicante” disponesse della somma, ma tolto il camuffamento egli divenne proprietario a tutti gli effetti della fortezza. Da lì iniziò la sua opera di reclutamento.

Hasan ibn Al Sabbah
Hasan ibn Al Sabbah

Alamuth

Rocca di Alamuth

Non era l’unico rifugio della setta, ne esistevano altri della stesa natura dove formavano culturalmente e “professionalmente” gl’assassini. Molto presto Hasan dispose di un gran numero di seguaci totalmente fedele a lui e dotati di una ferocia inaudita. La fama della setta si sparse immediatamente per il medio oriente; una serie di omicidi riusciti accrebbe il terrore e il rispetto, che ben presto arrivarono a minacciare gli interessi cristiani in Terrasanta.
I tentativi di assaltare la rocca principale si risolsero in un fallimento; in particolare ci fu un califfo che rinunciò ad ogni velleità il giorno che si trovò, sotto il cuscino, un pugnale della setta, segno inequivocabile della presenza, tra la corte dello stesso, di adepti della stessa.

Il vecchio e i suoi assassini non vanno però considerati come dei volgari killer prezzolati; apprendono molte lingue come il latino, il greco, il provenzale, il saraceno e tante altre ancora e, come detto all’inizio, era fortissima la connotazione religiosa, ed era sicuramente la molla principale che muoveva le loro azioni.
Il vecchio della montagna non inseguiva il successo personale o la ricchezza; il denaro che la setta otteneva per i suoi servigi, spesso anche solo come “tangente” per evitare guai maggiori, era utilizzato dalla stessa per indottrinamento e per le spese di mantenimento del piccolo esercito che lo componeva. Ben presto il raggio d’azione si allargò; ne fece le spese, per esempio, Corrado di Monferrato, re di Gerusalemme,che fu ucciso da due sicari.

USI E COSTUMI DELLA SETTA

I costumi degli assassini ritratti in un raro libro scampato allo sterminio testimoniano che vi era un culto e delle gerarchie fra gli assassini. Gl’iniziati potevano salire la scala gerarchica solo addestrandosi e lo studio assiduo degli Shura maomettani, opportunamente estremizzati da Hasan. La gerarchia era così costituita: al grado più basso il Fedele, al quale venivano affibbiate le missioni più pericolose e spericolate, e assuefatti dalla dipendenza da stupefacenti obbedivano ciecamente agli ordini gettandosi nelle imprese più ardite che portavano a compimento in luoghi affollati o in pubblico, arrivando al sacrificio estremo della propria vita. Poi i Laici, i Compagni e infine i Maestri (Giovani e Anziani) stretti collaboratori dell’unico Sommo Maestro. Il colore dell’abito di un assassino era in bianco ed in rosso, bianco che simboleggia la purezza, ed il rosso il sangue. I colori simboleggiano il coraggio (bianco) ed invincibilità (rosso). Sebbene questi fossero musulmani, la loro dottrina presentava notevoli varianti poiché i reclutati potevano cibarsi di carne di maiale (cibo proibito per ogni islamico), inoltre praticavano incestuose e perverse orge , dove la presenza di madri e sorelle era una normalità.

Forse la miglior descrizione delle pratiche di questa setta ce la fornisce Marco Polo nel suo diario con queste parole:

“Lo Veglio (…) aveva fatto fare tra due montagne in una valle lo più bello giardino e ‘l più grande del mondo; quivi avea tutti i frutti e li più belli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro e a bestie e a uccelli. Quivi era condotti: per tale veniva acqua, e per tale vino. Quivi era donzelli e donzelle, gli più belli del mondo e che meglio sapevano cantare e sonare e ballare ; e faceva credere lo Veglio a costoro che quello era lo paradiso. E per ciò il fece, perché Maometto disse che chi andasse in paradiso avrebbe di belle femmine quante ne volesse, e quivi troverebbe fiumi di latte e di miele e di vino; e perciò lo fece simile a quello che avea detto Maometto. E gli saracini di quella contrada credevano veramente che quello fosse il paradiso; e in questo giardino non entrava se no’ colui che voleva fare assassino”.

“All’entrata del giardino avea un castello sì forte che non temeva niuno uomo del mondo. Lo Veglio teneva in sua corte tutti giovani di dodici anni, li quali li paressono da diventare prodi uomeni. Quando lo Veglio ne faceva mettere nel giardino, a quattro, a dieci, a venti, egli faceva loro dare bere oppio, e quegli dormivano bene tre dì; e facevagli portare nel giardino, e al tempo gli faceva isvegliare. Quando li giovani si svegliavano, egli si trovavano là entro e vedevano tutte queste cose, veramente si credevano essere in paradiso. E queste donzelle sempre istavano con loro con canti e in grandi sollazzi; donde egli aveano sì quel che voleano, che mai per lo volere si sarebbero partiti da quel giardino. Il Veglio tiene bella corte e ricca, e fa credere a quegli di quella montagna che così sia com’io v’ho detto. E quando ne vuole mandare niuno di quelli giovani in niuno luogo, li fa loro dare beveraggio che dormono, e fagli recare fuori del giardino in sul suo palagio. Quando coloro si svegliano, trovansi quivi, molto si maravigliano, e sono tristi che si truovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontamente dinanzi al Veglio, credendo che sia un gran profeta, e inginocchiansi. Egli li domanda: “Onde venite ?” Rispondono: “Dal paradiso” e contagli quello che v’hanno veduto entro, e hanno gran voglia di tornarvi. E quando il Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, egli fa torre quello lo quale sia più vigoroso e fagli uccidere cui egli vuole; e coloro lo fanno volentieri, per tornare in paradiso. (…) In questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio della Montagna, a cui egli lo vuole fare; e sì vi dico che più re li fanno tributo per quella paura”.

Nella loro azione non mancava inoltre un certo carattere di ritualità, dato che tutte le loro vittime perirono trafitte da coltelli, mentre non fu mai fatto uso di veleni o di armi a distanza. L’omicidio si connotava quindi anche come un atto sacrificale. Antichi culti di morte trovavano quindi nuova vita all’interno dell’Islam e l’omicidio diventava non solo atto dovuto di devozione, ma un’azione sacrale, capace di santificare chi se ne macchiava le mani. Racconta il cronista Guglielmo di Tiro: “Immediatamente chiunque abbia ricevuto l’incarico inizia a sua missione senza pensare alle conseguenze che potrebbero ricadere su di lui o senza preparasi una via di fuga”. Per gli adepti, infatti, il conseguimento dell’impunità non aveva alcun senso. Una volta catturati, avrebbero sopportato qualsiasi pena, convinti dell’eroicità del proprio martirio. Sotto il comando di Hassan ben Sabbah gli elenchi ismaeliti ricordano circa cinquanta omicidi, finalizzati a colpire alte personalità avversarie ed a creare un clima di terrore. Nessuno, per quanto ben protetto e ritirato, appariva immune dai loro colpi, dato che determinazione e capacità di dissimulazione permettevano ai sicari di avvicinare qualsiasi obiettivo. L’atmosfera instaurata da questi ripetuti atti di violenza è ben descritta da un cronista arabo che afferma: “Nessun comandante o funzionario osava lasciare la propria casa senza scorta. Sotto i vestiti portavano corazze ed il visir indossava una cotta. Per il timore di essere assaliti gli alti funzionari del sultano chiesero il permesso di poter portare le armi in sua presenza ed egli glielo accordò”.

LA STORIA

Nel 1090 Hasan stabilì il suo quartier generale nonché residenza a Khorasan nell’inespugnabile cittadella di AlamutH in Persia, il Nido d’Aquila, a 1800 metri d’altezza sul mare. Il primo assassinato fu il gran visir Nizam al-Mulk nel 1092, la cui abilità di stratega e di statista era stata importante per la dinastia selgiuchida in Iran. I selgiuchidi tentarono varie volte di sottomettere Hasan ma senza successo. Era davvero una mina vagante nel mondo mussulmano.
Successivamente alcune sette di Assassini si spostarono in Siria, anche appoggiate da Ridwan di Aleppo, che, sia forse per essersi convertito alle dottrine, sia perché non aveva molta simpatia per i suoi cugini selgiuchidi gli aveva concesso protezione e appoggio; il capo si chiamava Abu Tashir, ed era un orefice siriano che ebbe un’influenza su Ridwan.
Tancredi di Antiochia, affascinato dalle dottrine oppure pervia della sua amicizia con Ridwan si avvicinò alla setta.
Nel 1103 ebbe esecuzione la loro prima impresa in Siria con l’omicidio dell’emiro di Homs, Janah ed-Daula. Nel 1106 trucidarono l’emiro di Apamea, Khalaf ibn Mulaib, ma soltanto i franchi di Antiochia ne potevano trarre giovamento da questa morte. In seguito anche il capo dell’esercito ad Aleppo cadde sotto il pugnale degli Assassini.
Nel 1124 muore Hasan, i successori mantennero la politica del primo Sommo Maestro, fino ad Hasan II che nel 1165 decise di rinnegare l’Islam per creare una nuova religione solo a vantaggio degli Assassini. Fu un cataclisma.
Hasan II venne ucciso in un complotto e il gruppo si scisse in due gruppi, gli Assassini Persiani e quelli Siriani, quest’ultimi governati da Sinan ibn Salman ibn Muhammad, uomo geniale e allo stesso tempo infido, che ebbe a confronto due avversari altrettanto scaltri: i Crociati e Saladino.
Si racconta che anche il Saladino fu terrorizzato dalla potenza politica e dalla facilità nell’uccidere chiunque, come è testimoniato in queste parole tramandate da un cronista mussulmano:
“Mio fratello (…) mi narrò che Sinan inviò un messaggero al Saladino (…), ordinandogli di consegnare un messaggio in privato. Il Saladino lo fece perquisire e, quando fu sicuro che non costituisse un pericolo, congedò i presenti facendo restare solo poche persone e gli chiese di dargli il messaggio. Ma egli disse : “Il mio maestro mi ha ordinato di non consegnartelo (se non in privato)”. Il Saladino allora allontanò tutti i congregati tranne due mamelucchi (schiavi non mussulmani specialmente uzbeki, turkmeni, kazaki ecc… impiegati per lo più nell’esercito N.D.R..), e disse : “Consegnami il tuo messaggio”, ed egli replicò :“Mi è stato ordinato di dartelo solo in privato”, e il Saladino disse :“Questi due non mi lasceranno. Se vuoi, dammi il tuo messaggio, altrimenti vattene”. Egli disse: “Perché non hai allontanato questi due come hai allontanato gli altri ?”. Il Saladino rispose : “Li considero come se fossero i miei figli, io e loro siamo una cosa sola”. Allora il messaggero si rivolse ai due mamelucchi e disse: “Se vi ordinassi nel nome del mio signore di uccidere questo sultano, voi lo fareste?”. Essi risposero di sì e sfoderarono le loro spade, dicendo: “Ordina ciò che desideri”. Il sultano Saladino (…) era ammutolito, e il messaggero se ne andò, portando i due con sé.
Dopo questi fatti, afferma sempre il cronista, Saladino decise di concludere la pace con gli Assassini, ma la setta avrebbe ben presto trovato nuovi antagonisti: nel 1152, infatti, un capo franco, il conte di Tripoli Raimondo II, cadeva sotto i loro colpi. Era la prima vittima cristiana ricordata dagli Ismaeliti.
L’atto più eclatante contro gli occidentali doveva tuttavia essere l’uccisione di Corrado di Monferrato, re di Gerusalemme. Dopo la caduta della Città Santa in mano di Saladino, il principe italiano, appena arrivato in Palestina, aveva saputo organizzare eroicamente la difesa di Tiro, ottenendo in seguito anche la corona del regno. Una sera, mentre faceva ritorno al palazzo reale, venne avvicinato da due uomini e, mentre uno fingeva di consegnargli una lettera, il secondo lo pugnalò. I sicari erano conosciuti a corte ed avevano precedentemente finto di convertirsi al Cristianesimo. Immediatamente catturati, essi affermarono di aver agito su commissione di Riccardo I Cuor di Leone, re d’Inghilterra ed in quel momento in Terra Santa come crociato. In effetti tra Corrado ed il Plantageneto c’erano stati molti e gravi dissapori circa la conduzione della crociata, tuttavia pare che il Vecchio della Montagna agisse in questo caso per eliminare un pericoloso nemico, riuscendo inoltre a seminare discordia nel campo cristiano. Resta il fatto che gli Assassini avevano nuovamente colpito con sagacia e sprezzo del pericolo, uccidendo il sovrano stesso di Gerusalemme.
L’uccisione di Corrado fu in realtà l’ultima mossa di Sinan: di lì a poco il terribile Vecchio moriva, ma la sua eredità non sarebbe andata perduta. Gli omicidi infatti continuarono e furono soprattutto cristiani a cadere. Raimondo, figlio di Boemondo IV di Antiochia, fu assalito in una chiesa di Tortosa ed il cronista Joinville racconta addirittura che emissari della setta chiesero a Luigi IX il Santo, re di Francia e due volte crociato, un tributo come già pagavano “l’imperatore di Germania, il re d’Ungheria, il sultano di Babilonia ed altri, perché sanno bene che possono vivere solo nella misura in cui egli (il loro capo) lo vuole”.
Durante il XIII secolo, tuttavia , il potere della setta in Siria andava lentamente declinando ed il colpo di grazia le sarebbe stato inferto dall’invasione mongola e dall’assalto del sultano mamelucco d’Egitto Baybars. Alcune fonti affermano che egli si sarebbe valso dei loro servigi. L’attentato ad Edoardo d’Inghilterra e l’uccisione di Filippo di Monfort a Tiro nel 1270 sarebbero state portate a termine su sua commissione. In realtà, in questo periodo non si può affermare con certezza che alcun omicidio fosse compiuto dagli Assassini. Nel secolo seguente, infine, l’Ismaelismo avrebbe perso gran parte dei propri adepti e la sua influenza politica si sarebbe fattaquasi irrilevante. Tuttavia, nella storia gli Assassini avevano lasciato in ricordo della loro fede una lunga scia di sangue, mentre il loro nome ancora oggi è indissolubilmente legato al più antico crimine mai compiuto dall’uomo.


Pugnale utilizzato per gli assassini

Particolari interni della rocca di Msyaf

Rocca di Masyaf (attuale Siria). Rifugio degli Assassini siriani
RAPPORTI TRA ASSASSINI E TEMPLARI

I rapporti tra queste due fazioni è documentato da tre lettere di Roncelin de Fos ( Maestro di Provenza fra 1248-1250, Maestro di Inghilterra (1251-1253), e di nuovo di Provenza (1260-1278) ) a Richard de Vichiers:

“Mio caro fratello in Cristo, qui ad Acri, posso oggi scriverti per riferirti il successo della missione che mi affidasti il giorno della nascita del Nostro Signore nell’anno 1243 quando il diacono dei Buoni Uomini (Catari), Pierre Bonnet, giunse alla nostra Casa e chiese il nostro aiuto per proteggere il loro Tesoro. Tu mi affidasti l’impegno di accompagnare e scortare le Buone Dame e la loro Reliquia al nostro Tempio e consegnarla segretamente a tuo fratello. Partii la sera stessa dalla nostra casa di Pieusse e fui guidato dal Buon Uomo Bonnet fino alla grotta fortificata di Niaux, dove protette da un Buon Uomo trovai sette Buone Dame. La notte stessa ci separammo: mentre i due Buoni Fratelli continuavano il loro cammino per nascondere il resto del loro tesoro, le dame viaggiarono, protette da me, su un carro con la Reliquia di Giuseppe. Seguendo il tuo suggerimento, per confondere gli eventuali inseguitori non ci dirigemmo verso i nostri porti del Mediterraneo ma andammo fino a La Rochelle dove ci imbarcammo per Bari; ritenni infatti più prudente sbarcare in Terra Santa proveniente dalla Sicilia e non dalla Francia. Alcuni mesi dopo, nonostante la tragica notizia della caduta di Gerusalemme decidemmo di imbarcarci da Bari per la Terra Santa ma quando sbarcammo ad Acri sapemmo della tragedia: un mese prima le forze cristiane erano state massacrate a La Forbie, dove perì anche il nostro Gran Maestro Armand che Dio lo abbia in gloria; la speranza di recuperare Gerusalemme era perduta. Arrivato, fortunatamente, seguii di nuovo il tuo consiglio: invece di rivolgermi al Gran Maestro mi rivolsi direttamente a tuo fratello Renaud e questi, quando seppe di cosa si trattasse, mi fece giurare di non farne parola al nuovo Gran Maestro, Richard de Bures, uomo molto amico (e secondo tuo fratello prezzolato) del signore di Tiro, Filippo Montfort, nipote di quel Simone che sta combattendo contro i Buoni Uomini. La crociata contro il conte di Tolosa, mi spiegò tuo fratello, è stata scatenata da forze malvagie per impossessarsi della Reliquia di Giuseppe e tuo fratello sospetta addirittura che la nomina del Gran Maestro sia stata favorita da queste forze per recuperare altri potenti oggetti che noi Templari proteggiamo, custodiamo e nascondiamo dai nemici perché non siano rivelati prima dall’ora designata. Tuo fratello si rivolse invece ad un altro fratello, Guillaume de Sonnac, di cui aveva assoluta fiducia; la tremenda situazione in cui si trovano oggi i cristiani sotto gli attacchi di Satana è dimostrata dal fatto che tuo fratello decise, con l’avvallo di Guillaume, di chiedere aiuto agli infedeli, ai seguaci del Saggio della Montagna. Per calmare i miei scrupoli per questa alleanza con i nemici, non solo mi convinse che il Saggio era più amico nostro che il Montfort, ma mi mostrò un documento straordinario: in esso il nostro fondatore racconta che alla sua morte il Saggio della Montagna gli aveva inviato un sigillo di grande potere magico chiedendogli di nasconderlo e proteggerlo dai seguaci di Satana; perplesso il nostro fondatore era partito per la Francia per consegnarlo al santo uomo che ha redatto la nostra regola. Ma il santo abate ebbe parole di onore per il Saggio e ordinò al nostro fondatore di custodire questo oggetto. Sappi che il sigillo e la documentazione alla morte del nostro Gran Maestro Armand, che Dio lo abbia in gloria, sono stati nascosti da tuo fratello e da Guillaume che temono le trame del Montfort. Tale sono gli intrighi di Satana che per difendersi bisogna essere “prudenti come serpenti”. I seguaci del Saggio della Montagna, contattati da tuo fratello accompagnarono lui, me e le sette Buone Dame fino alla Valle di Mosè. Lì vidi una meraviglia che mi lasciò senza fiato: una montagna in cui sono stati scolpiti e scavati templi e palazzi e chiese e tombe. Lì i seguaci del Saggio ci guidarono ad un altare scavato sul fianco della montagna sulla cima del quale era inciso un simbolo che ti disegno: (Il disegno è quello del simbolo dell’infinito; ognuno dei due cerchi contiene il simbolo di un otto; ognuno dei quattro cerchi degli otto contiene un punto spesso). I seguaci del Saggio ci mostrarono come l’altare può aprirsi: è necessario introdurre contemporaneamente in ognuno dei quattro buchi al centro dei cerchi un medaglione dalla foggia curiosa. Consegnarono quindi una di queste chiavi a ciascuna delle sette Buone Dame che deposero nella tomba la Reliquia di Giuseppe. Voglia Dio che resti per sempre nascosta e protetta dagli attacchi di Satana fino all’ora designata per la sua rivelazione, nonostante una possibile minaccia. Una delle sette Buone Dame fu infatti catturata dal signore di Tiro e torturata a morte, che Dio abbia pietà della sua anima. Il signore è venuto quindi in possesso di una delle chiavi ed è a conoscenza del ruolo di tuo fratello, mio e dei seguaci del Saggio a fargli perdere per sempre la reliquia per la quale la sua famiglia ha versato tanto sangue innocente”

Seconda lettera:

“Mio caro fratello in Cristo, devo scriverti notizie dolorose e che straziano il mio ed il tuo cuore. Forse ti è già giunta la notizia della tragica morte di tuo fratello, che Dio lo abbia in gloria, insieme a malevoli commenti. Sappi che tuo fratello è immune delle macchie di cui è accusato: la sua sola colpa è quella di aver seguito il compito che ci era stato affidato dal sant’uomo Bernardo che scrisse la nostra regola e ci impose di proteggere, custodire e nascondere dai nemici di Dio e dai servi di Satana quegli oggetti potenti che non devono essere rivelati prima dall’ora designata. Quando Re Luigi sbarcò a Cipro si crearono subito degli scontri nella gestione delle operazioni tra il Re che voleva agire immediatamente e i nobili locali (tra cui il nostro Gran Maestro Guilleume) che suggerirono prudenza. Lo scontro divenne più duro quando il re ordinò al Gran Maestro di cessare le trattative col sultano di Damasco. La campagna in Egitto del Re, fu una follia militare e causò la morte del nostro Gran Maestro Guilleume, che Dio lo abbia in gloria, e si concluse con la cattura del Re. Liberato il Re e tornato ad Acri, Luigi, istigato da Filippo Montfort, pretese che il maresciallo del Tempio, Ugo di Jouy, il quale aveva trattato col sultano per ordine del Gran Maestro Guilleume, venisse rimosso e bandito dalla Terra Santa. Tuo fratello fu costretto a cedere ed Ugo divenne maestro in Catalogna. Quando il Re lasciò Acri e tornò (finalmente!) in Francia, Filippo Montfort colpì di nuovo: i suoi seguaci nel Capitolo, nel corso di una deliberazione segreta, deposero tuo fratello. Due giorni dopo, tuo fratello fu trovato ucciso. Non ho dubbi su chi abbia mosso la mano dei sicari. Come non ho dubbi su chi ha fatto girare voci sui rapporti tra tuo fratello e i mussulmani. è vero che tuo fratello da sempre ebbe stretta collaborazione con i seguaci del Saggio della Montagna, ma io, che fui il suo amico e il suo servitore, ti giuro che il suo obbiettivo in ciò era difendere la Terra Santa e seguire il compito segreto affidato a noi dal sant’uomo Bernardo. E sappi che tuo fratello mi insegnò che noi, i Buoni Uomini e il Saggio della Montagna in questo santo compito siamo stati da sempre alleati. Sappi dunque che tuo fratello è morto per compiere il nostro compito segreto ed è stato ucciso dall’uomo della stirpe che Satana ha generato sulla terra per recuperare quegli oggetti di potere che non devono essere rivelati prima dall’ora designata”.

Terza lettera:

“Mio caro fratello in Cristo, mi sembra doveroso farti sapere che tuo fratello è stato vendicato. Alcuni giorni fa un seguace del Saggio della Montagna, fingendosi un convertito al cristianesimo entrò nella cappella dove Filippo di Tiro e suo figlio Giovanni stavano pregando e pugnalò entrambi. Giovanni è sopravvissuto mentre l’anima di Filippo ha raggiunto il suo sovrano Satana. Si dice qui che la mano è stata armata dal sultano dell’Egitto ma io credo che il Saggio abbia voluto vendicare il suo fratello e proteggere ulteriormente il segreto della reliquia di Giuseppe”.

BAPHOMET

Baphomet era presumibilmente un idolo pagano identificata da una testa barbuta con gl’occhi di carbonchio, dal punto di vista etimologico la spiegazione più plausibile sembra essere la corruzione della parola Maometto, in quanto le moschee venivano chiamate Baphomeris. Secondo alcuni cronisti dell’epoca Baphomet si doveva addirittura ricondurre al Santo Graal.
Non si sapeva se queste teste erano sculture, dipinti o vere teste imbalsamate, fatto sta che tutti i cavalieri la baciavano chiamandola salvatore. Ai Novizi veniva addirittura detto che aveva il potere di far germogliare le piante. Nel comune popolare, venivano chiamate “teste di Maometto” certi automi o teste semoventi. Papa Silvestro II, astrologo e alchimista, aveva portato una di queste teste dalla Spagna, che rispondeva con un si o con un no alle sue domande. Pare si trattasse di un automa che funzionava grazie ad un sistema matematico binario. Anche Alberto Magno, maestro di Tommaso d’Aquino, ne possedeva una analoga.
Molte testimonianze dai processi ai templari della presenza nel Tempio di Parigi.
Si disse poi di statuette presso altari degli Assassini, statuette antropomorfe cornute, barbute, alate ed ermafrodite dotate di grossi seni (maschile/femminile, cielo/terra).
Più avanti la figura ed il significato di Baphomet cambiarono ulteriormente, l’inquisizione diede un carattere satanico a questa figura, ma gli alchimisti pensarono che fosse una miscellanea di culture diverse.
La testa diventò caprina, con allusione al dio Amon dalla testa d’ariete, ma anche a Pan e Kernunnos, il cacciatore cornuto il Dio della Religione della Stregheria.
Sulla fronte si riconosce un pentacolo, è un simbolo positivo di evoluzione e di ricerca del bene; le ali fanno subito pensare alla versione alata della dea Iside, Regina della Sapienza, per gli gnostici affine alla Sophia.
Il caducèo , associato a Thot e a Mercurio, rappresenta invece la duplice spirale del Dna, oppure l’energia della Kundalini che scorre lungo la colonna vertebrale attraverso i chakra: è senz’altro positivo ed associato alla medicina e alla cura. La luna bianca e quella nera è un riferimento, al pari delle corna, alla Triplice Dea, , la Luna, e alla sua fase bianca e nera tipiche della ricerca alchemica del sé.

Cosa potrebbe rappresentare il Bafometto? Per la Chiesa, Satana e tutto quello che fa malvagità. Ma noi a Satana non crediamo assolutamente, troppo costruito a tavolino come figura unitaria nei processi dell’Inquisizione per costituire una reale essenza, ma solo deformazione banale di divinità malefiche precedenti; Insomma, più che un idoletto satanico il Bafometto è un simbolo di vita ed evoluzione, un archetipo a cui dobbiamo tendere nel rispetto delle energie che ogni simbolo evoca. Più che un idolo, è una meta: un obiettivo da raggiungere per la perfezione, che ci mostra anche la strada da seguire.

Ricerca a cura di Stefano Vaccari


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